Le nuove tendenze in economia e la ripartenza dopo la pandemia.
09-08-2021 11:41 - Cronaca
Certamente la pandemia è un evento regolatore della storia. Capace di invertire tendenze consolidate e di produrre cambiamenti radicali. Sino al 2020 in economia vigeva la regola del libero mercato. Per anni, anche in Italia, la parola d’ordine era liberalizzare. Anche quando al governo sedevano partiti di sinistra occorreva sempre produrre provvedimenti che dettavano norme di concorrenza e libero mercato. Le “lenzuolate” era il nome attribuito a decreti che, ad esempio, consentivano di cambiare operatore telefonico con facilità piuttosto che cambiare istituto bancario. Naturalmente quando è toccato ai partiti conservatori avere responsabilità di governo la spinta liberale era ancora più marcata fino a diventare, in certi casi, apertamente liberista. La tendenza neoliberista è stata, per decenni, prima della pandemia l’unica dottrina ritenuta idonea a conseguire risultati positivi. Corollario di una politica economica liberista è quello di praticare scarso o nullo ricorso all’indebitamento pubblico perché i capitali eventualmente ricavabili dallo Stato attraverso la collocazione di titoli garantiti dalle casse pubbliche non devono essere utilizzati nell’economia che deve, invece, equilibrarsi attraverso il libero mercato. La riduzione del ricorso al debito pubblico comporta la necessità di ridurre l’indebitamento pregresso e questo ha comportato anni di sacrifici che hanno acuito ulteriormente le difficoltà dell’economia italiana soffocata ulteriormente da politiche restrittive che raggiunsero livelli insopportabili con il governo Monti. Queste linee economiche praticate in Italia negli ultimi 20 anni prima della crisi sanitaria mondiale non hanno prodotto i risultati sperati. Già prima dell’avvento del Covid19 la situazione economica italiana, ma anche dell’intera Europa non era certamente positiva ed in questo contesto la tendenza liberista non ha prodotto i risultati sperati. In venti anni di pratiche economiche liberiste i risultati sono stati quelli di creare spesso oligopoli ed in alcuni casi monopoli con il paradossale effetto che la regola del mercato comporta la fine stessa del mercato. Gli economisti degli anni 60 del secolo scorso avevano già studiato il fenomeno in riferimento alle politiche liberali praticate verso la fine dell’1800 verificando gli effetti del mercato nei singoli settori dell’economia. Gli studi avevano evidenziato che il libero mercato crea una forte concorrenza tra gli operatori, una sorta di guerra economica dove il più forte riesce ad avere la meglio sul concorrente con l’effetto di eliminarlo dal mercato. Questa selezione genera un oligopolio ovvero la riduzione degli operatori di mercato fino a quando, in quel settore, continuando la concorrenza sfrenata, uno solo avrà la prevalenza imponendo il monopolio. L’esatto contrario del risultato previsto!
La pandemia ha invece determinato nuove e diverse necessità. La crisi sanitaria ha evidenziato l'importanza della presenza pubblica proprio nel settore della sanità. Solo gli stati dove era presente una sanità pubblica forte hanno potuto affrontare la pandemia limitando il numero delle vittime. E’ evidente che se nel settore della sanità si fossero applicati criteri liberisti la sanità pubblica doveva lasciare il campo a quella privata secondo i principi del libero mercato. Proprio seguendo questi principi la sanità pubblica italiana aveva subito forti ridimensionamenti, fortunatamente senza mai lasciare il campo libero ai soli operatori privati. Quando le case farmaceutiche hanno prodotto i primi vaccini è stato lo Stato ad offrirli, gratuitamente, a tutti i cittadini, indistintamente e con priorità legate all’età anagrafica piuttosto che a problematiche di salute. Diversamente se si fossero applicati criteri liberisti con la vendita e la somministrazione dei vaccini secondo regole di mercato la tenuta dell’ordine pubblico sarebbe stata gravemente a rischio. Probabilmente non sarebbe stato possibile organizzare una campagna vaccinale efficace. Scelte, quelle avvenute in tempo di pandemia, che sono state comuni a tutti gli stati europei ed anche gli USA, con qualche variante, hanno sostanzialmente seguito questo schema.
Dopo il primo contraccolpo e l’imposizione di lockdown con il blocco delle attività figlio dell’esigenza di reagire ad un evento inaspettato, i singoli stati, Italia in testa, hanno compreso che anche in economia andavano prese misure radicali e diverse rispetto al passato. Gli aiuti pubblici diretti ai cittadini sono diventati massicci e le prime misure prese per avviare la ripresa hanno messo da parte il liberismo per applicare criteri e regole di intervento diretto dello Stato nel mercato secondo i principi economici della scuola keynesiana. Un filone di economia politica utilizzato in Italia convintamente dalla Democrazia Cristiana nel dopoguerra e che ebbe come risultato diretto il boom economico noto come “miracolo italiano”. Certo le linee d’intervento dello Stato in economia, in quegli anni, avevano anche l’obbiettivo di aiutare le imprese nazionali (partecipate e non dallo stato) ad ottenere materie prime, ed energia in particolare, a buon mercato e con approvvigionamenti costanti. Riuscire ad ottenere importanti provviste energetiche attraverso l'Eni di Enrico Mattei fu l'altra chiave del successo degli anni 60.
Oggi lo Stato ha iniziato a dettare le linee della ripartenza favorendo, con interventi diretti e massicci, settori trainanti come l’edilizia. Sembra evidente che questa linea di politica economica sarà tenuta in piedi per un periodo non brevissimo. Sarà lo Stato a dettare i singoli settori economici da favorire, secondo l’interesse strategico nazionale, intervenendo nel mercato con incentivi massicci come è accaduto con l’edilizia. L’intervento statale, secondo gli strumenti attuali, non può fare leva sull’indebitamento pubblico, ma deve essere diretto dagli organismi comunitari. A differenza della ricostruzione post-bellica, questa ripartenza post-pandemica ha un soggetto nuovo. L’Unione Europea, uno spazio comune nato proprio per creare un mercato economico omogeneo, sarà uno dei principali attori delle strategie economiche future, al momento non più di ispirazione liberiste. Allo stesso tempo anche il contesto internazionale e globale è radicalmente cambiato. A livello mondiale gli Stati Uniti, che avevano diretto l’economia mondiale per decenni, sono ormai stati superati da un nuovo soggetto: la Cina. Non è solo un paese culturalmente diverso, ma ha un sistema di governo diverso che è in grado di imporre decisioni rapide ed immediate. L’economia cinese ha superato definitivamente quella degli USA in termini di produzione industriale, di acquisizione di tecnologia, di raggiungimento degli obbiettivi economici primari. Per questo il futuro dell’Italia, integrata nell’Unione Europea, sarà quello di fronteggiare e bilanciare il potere economico cinese perché il vecchio continente dovrà rinnovare il patto di alleanza con l’America. Non più un patto di solidarietà militare contro il nemico comunista pronto all’invasione, ma un patto sinergico di natura economica per competere con il gigante cinese. Probabilmente la chiave del successo arriverà dalla corretta applicazione di modelli economici capaci di coniugare gli elevati standard di funzionamento democratico dell’amministrazione statale presenti nei paese occidentali con il raggiungimento degli obbiettivi economici.
La pandemia ha invece determinato nuove e diverse necessità. La crisi sanitaria ha evidenziato l'importanza della presenza pubblica proprio nel settore della sanità. Solo gli stati dove era presente una sanità pubblica forte hanno potuto affrontare la pandemia limitando il numero delle vittime. E’ evidente che se nel settore della sanità si fossero applicati criteri liberisti la sanità pubblica doveva lasciare il campo a quella privata secondo i principi del libero mercato. Proprio seguendo questi principi la sanità pubblica italiana aveva subito forti ridimensionamenti, fortunatamente senza mai lasciare il campo libero ai soli operatori privati. Quando le case farmaceutiche hanno prodotto i primi vaccini è stato lo Stato ad offrirli, gratuitamente, a tutti i cittadini, indistintamente e con priorità legate all’età anagrafica piuttosto che a problematiche di salute. Diversamente se si fossero applicati criteri liberisti con la vendita e la somministrazione dei vaccini secondo regole di mercato la tenuta dell’ordine pubblico sarebbe stata gravemente a rischio. Probabilmente non sarebbe stato possibile organizzare una campagna vaccinale efficace. Scelte, quelle avvenute in tempo di pandemia, che sono state comuni a tutti gli stati europei ed anche gli USA, con qualche variante, hanno sostanzialmente seguito questo schema.
Dopo il primo contraccolpo e l’imposizione di lockdown con il blocco delle attività figlio dell’esigenza di reagire ad un evento inaspettato, i singoli stati, Italia in testa, hanno compreso che anche in economia andavano prese misure radicali e diverse rispetto al passato. Gli aiuti pubblici diretti ai cittadini sono diventati massicci e le prime misure prese per avviare la ripresa hanno messo da parte il liberismo per applicare criteri e regole di intervento diretto dello Stato nel mercato secondo i principi economici della scuola keynesiana. Un filone di economia politica utilizzato in Italia convintamente dalla Democrazia Cristiana nel dopoguerra e che ebbe come risultato diretto il boom economico noto come “miracolo italiano”. Certo le linee d’intervento dello Stato in economia, in quegli anni, avevano anche l’obbiettivo di aiutare le imprese nazionali (partecipate e non dallo stato) ad ottenere materie prime, ed energia in particolare, a buon mercato e con approvvigionamenti costanti. Riuscire ad ottenere importanti provviste energetiche attraverso l'Eni di Enrico Mattei fu l'altra chiave del successo degli anni 60.
Oggi lo Stato ha iniziato a dettare le linee della ripartenza favorendo, con interventi diretti e massicci, settori trainanti come l’edilizia. Sembra evidente che questa linea di politica economica sarà tenuta in piedi per un periodo non brevissimo. Sarà lo Stato a dettare i singoli settori economici da favorire, secondo l’interesse strategico nazionale, intervenendo nel mercato con incentivi massicci come è accaduto con l’edilizia. L’intervento statale, secondo gli strumenti attuali, non può fare leva sull’indebitamento pubblico, ma deve essere diretto dagli organismi comunitari. A differenza della ricostruzione post-bellica, questa ripartenza post-pandemica ha un soggetto nuovo. L’Unione Europea, uno spazio comune nato proprio per creare un mercato economico omogeneo, sarà uno dei principali attori delle strategie economiche future, al momento non più di ispirazione liberiste. Allo stesso tempo anche il contesto internazionale e globale è radicalmente cambiato. A livello mondiale gli Stati Uniti, che avevano diretto l’economia mondiale per decenni, sono ormai stati superati da un nuovo soggetto: la Cina. Non è solo un paese culturalmente diverso, ma ha un sistema di governo diverso che è in grado di imporre decisioni rapide ed immediate. L’economia cinese ha superato definitivamente quella degli USA in termini di produzione industriale, di acquisizione di tecnologia, di raggiungimento degli obbiettivi economici primari. Per questo il futuro dell’Italia, integrata nell’Unione Europea, sarà quello di fronteggiare e bilanciare il potere economico cinese perché il vecchio continente dovrà rinnovare il patto di alleanza con l’America. Non più un patto di solidarietà militare contro il nemico comunista pronto all’invasione, ma un patto sinergico di natura economica per competere con il gigante cinese. Probabilmente la chiave del successo arriverà dalla corretta applicazione di modelli economici capaci di coniugare gli elevati standard di funzionamento democratico dell’amministrazione statale presenti nei paese occidentali con il raggiungimento degli obbiettivi economici.
Riproduzione riservata- citare sempre l'autore Avv. Salvatore Piccolo