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Il 41 Bis e gli anarchici di Alfredo Cospito.

03-02-2023 22:52 - Cronaca
Il movimento anarchico ed il regime carcerario duro, noto come 41 bis, sono oggi argomenti di attualità. Il merito è di Alfredo Cospito, un anarchico fino a qualche settimana fa completamente sconosciuto ai più. Oggi il nome di Cospito è presente sui muri degli edifici delle principali città italiane. Accompagnato da invocazioni alla liberazione oppure mescolati all'abolizione del 41 bis. Per ottenere il risultato l'anarchico è dovuto ricorrere ad uno strumento di lotta estremo, ma efficace: lo sciopero della fame. In passato l'anarchico, nonostante si fosse dato da fare scrivendo numerosi articoli, saggi, e, secondo i magistrati, praticando una gambizzazione di un dirigente d'azienda ed una deflagrazione fuori ad una caserma dei carabinieri, non era riuscito ad ottenere alcuna visibilità.

Il 41 bis è il nome dell'articolo dell'ordinamento penitenziario, la legge numero 354 del 26 luglio 1975, che prevede un particolare regime carcerario, rigido e duro, che sostanzialmente impedisce qualsiasi comunicazione con l'esterno al recluso. Visite con i familiari ridotte al minimo, divieto anche di vedere canali televisivi regionali. Deve essere chiarito che la nostra costituzione prevede espressamente che la pena, inflitta dai tribunali italiani ai colpevoli di violazioni di norme penali, “non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e deve tendere alla rieducazione del condannato. Non e' ammessa la pena di morte.”(art.27 della Costituzione). Non serve troppo tempo per comprendere che una norma che preveda un eccessivo rigore nell'esecuzione, sostanzialmente murando vivo il detenuto, è incostituzionale. Nel nostro ordinamento il regime carcerario duro è stato introdotto solo per determinati reati, principalmente legati alla criminalità organizzata, dopo le stragi di mafia del 1992. Doveva avere una durata limitata nel tempo ed invece, prorogando l'emergenza, è ancora oggi in vigore ed è stato applicato anche ad Alfredo Cospito che non è stato condannato per reati di natura mafiosa, ma per reati ancora non chiaramente definiti (il percorso giudiziario non è ancora definitivo) e comunque di natura ideologica.

La costituzione non distingue la pena a seconda dei reati, anzi allargando il principio di eguaglianza, può affermarsi che la pena è uguale per tutti i reati, distinguendosi unicamente nell'ordinamento in generale ( e non nella costituzione) i reati tra delitti e contravvenzioni. Un trattamento carcerario particolarmente duro per i condannati per reati mafiosi è dunque ugualmente incostituzionale, non distinguendo la carta costituzionale la pena rispetto al tipo di reato commesso. In termini astratti applicare la categoria dell'emergenza al diritto penale è un errore particolarmente grave. La percezione dell'offesa collettiva è sempre diversa rispetto ai tempi ed alle diverse esigenze sociali in un determinato periodo storico. L'emergenza legata alla criminalità organizzata ha avuto particolari urgenze proprio negli anni 90, aveva un diversa percezione in passato ed anche oggi il fenomeno è avvertito con minore gravità. Bisogna allora effettivamente riflettere se tenere ancora in piedi un regime carcerario con alti profili di incostituzionalità soprattutto in un momento storico in cui l'emergenza criminale sembra essere avviata alla fase discendente della parabola. La lotta alla criminalità in questi ultimi anni non è stata condotta solo con lo strumento del 41 bis, ma lo Stato ha messo in campo strumenti avanzati di tecnica legislativa ed impegno professionale, procure antimafia, professionalità delle forze di Polizia, sistemi di indagini moderni e veloci. Abolire il 41 bis non significa impedire la lotta alla criminalità organizzata che anzi può proseguire tornando nell'alveo della costituzione, consentendo anche al mafioso condannato di accedere alla finalità rieducativa della pena. Il mafioso è pur sempre un essere umano che ha commesso degli errori, ma come altri pure colpevoli di reati atroci, deve avere, in uno stato di diritto, la possibilità di una redenzione.

Cospito è poi considerato uno dei leader, addirittura l'ideologo, degli anarchici. Molti dimenticano che il movimento anarchico ha origini antiche. Nasce prima dell'unità d'Italia ed era una delle alternative ideologiche rivoluzionarie presenti nel dibattito risorgimentale. Gaetano Bresci che uccise il re d'Italia, Umberto I, all'alba del 1900 era un anarchico. Essere anarchici non significa fare quello che si vuole come comunemente pure è inteso il termine anarchia. Gli anarchici di Cospito si rifanno a Tommaso Moro, e poi a pensatori come Proudhon, Toltoj, Bakunin, Enrico Malatesta. Spesso gli anarchici sono distinti in vari gruppi con diverse sfumature, ma il nucleo ideologico centrale ha un elemento comune: la necessità dell'annullamento dello Stato o in ogni caso delle più incombenti forme di potere costituito. Tutti gli anarchici sono concordi nel considerare l'abolizione del potere condizione necessaria e obiettivo finale dell'evoluzione sociale. L'annullamento del potere dello Stato non implica l'annullamento dell'organizzazione sociale, bensì l'evoluzione verso una società non gerarchica in cui spesso viene sostenuta anche l'abolizione della proprietà privata.

Per sostenere le proprie idee Cospito è ricorso all'attentato. Non ha ucciso alcuno, ma ha gambizzato un dirigente di un'azienda di ricerca nucleare e poi, sembra, abbia fatto esplodere alcuni modesti ordigni fuori una caserma dei carabinieri senza causare danni a persone. Per questi delitti è stato condannato definitivamente ad una pena di 10 anni (il tentato omicidio) e rischia altri venti anni per l'esplosione fuori la caserma. La scelta di applicare a Cospito il regime detentivo previsto per i mafiosi ha poi fatto il resto. Le idee di Cospito ed il regime carcerario del 41 bis sono oggi al centro del dibattito pubblico ed è questa l'occasione per stabilire che tipo di scelta giuridica intenda intraprendere il nostro paese. Scegliere la carta costituzionale e consentire a tutti di provare una riabilitazione durante l'esecuzione di una pena oppure abolire l'articolo 27 della Costituzione e stabilire che per particolari reati lo Stato possa esercitare la pretesa punitiva senza alcuna possibilità di attenuazione. Una pena diversa per delitti diversi, con corollari di disuguaglianza dell'intero sistema penale. Le esigenze repressive piuttosto che quelle rieducative. Sarà l'opinione pubblica ed il popolo sovrano a cui in definitiva appartiene il diritto di punire a stabilire se sia una scelta coerente con la storia e la tradizione giuridica del paese.

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