Sentenza delle Sezioni Unite sul reato di false o omesse dichiarazioni in materia di Reddito di cittadinanza.
03-01-2024 14:31 - Diritto
Nuova importante decisione della Cassazione a Sezioni Unite, n.49686 del 2023 (pubblicata nel link in calce) in merito al reato previsto e punito dall'art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019 che punisce le false dichiarazione rese in materia di conseguimento del reddito di cittadinanza. In particolare era stata la terza sezione penale, rilevato un contrasto giurisprudenziale, ad aver sottoposto la questione alle Sezioni Unite che nella sentenza in commento risponde al seguente quesito di diritto.
"Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'auto dichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui all'art. 7 del d. I. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in I. 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dall'effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio”.
La norma in questione punisce con la reclusione da due a sei anni chi, al fine di ottenere indebitamente il Rdc, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero omette informazioni dovute (comma 1) e con la reclusione da uno a tre anni chi, fruendo già del beneficio, non comunica le variazioni del reddito o del patrimonio (anche se provenienti da attività irregolari) e le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso nei termini previsti dall'art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11.
Il contrasto giurisprudenziale vede la contrapposizione di due opposti orientamenti.
Secondo un primo orientamento, integrano il delitto di cui all'art. 7, comma 1, dl. n. 4 del 2019, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del "Reddito di cittadinanza", indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.
Secondo questo indirizzo, affermato per la prima volta da Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573 e Sez. 3, n. 5290 del 25/10/2019, dep. 2020, la disciplina sanzionatoria del Rdc è correlata, nel suo complesso, al generale "principio antielusivo" che si incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; pertanto, la punibilità del reato di condotta viene correlata, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Ne consegue che le due fattispecie incriminatrici citate trovano applicazione indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e, in particolare, dal superamento delle soglie di legge.
Un diverso orientamento, inaugurato da Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336-01, e ribadito da Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Pollara, Rv. 283787, ritiene, invece, che integrano il delitto di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, soltanto le false indicazioni o le omissioni strumentali al conseguimento del beneficio cui altrimenti l'agente non avrebbe diritto.
Nel prendere consapevolmente le distanze dal primo orientamento, la suddetta pronuncia di Sez. 3, Gulino ritiene errata l'opzione ermeneutica che si basa sul parallelismo della fattispecie incriminatrice dell'art. .7 dl. n. 4 del 2019, che riguarda il reddito di cittadinanza, con la fattispecie di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, che riguarda il diverso istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato. Si afferma che, nel prevedere le sanzioni penali in caso di falsità delle (o omissioni nelle) dichiarazioni sostitutive di certificazione ovvero nelle altre dichiarazioni cui la disposizione fa riferimento, l'art. 95 d.P.R. n. 115/2002 mai richiama, come invece espressamente prevede l'art. 7 dl. n, 4 del 2019, il fatto che attraverso tali falsità od omissioni si sia perseguito il fine di accedere "indebitamente" ad un beneficio. Con tale avverbio, si osserva, il legislatore ha inteso fare riferimento non tanto ad una volontà di accesso al beneficio messa in atto non iure, in assenza, cioè, degli elementi formali che ne avrebbero consentito l'erogazione, quanto ad una volontà diretta ad un conseguimento di esso contra ius in assenza, cioè, degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento. Secondo questo orientamento ragionando diversamente si giungerebbe alla conseguenza di sanzionare penalmente la violazione di un obbligo privo di concreta offensività, laddove, si osserva, appare più in linea con il principio di necessaria offensività del reato ritenere che con l'espressione «al fine di ottenere indebitamente il beneficio» il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza. La rilevanza penale della condotta sussiste, pertanto, nei soli casi in cui l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire un beneficio altrimenti non dovuto.
Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento precisando che in realtà il bene giuridicamente protetto va correttamente individuato e non è possibile mutuarlo dal diverso reato di cui all'art.95 dpr 115/2002, ovvero la fattispecie prevista per la concessione del patrocinio a spese dello Stato, dove l'esattezza dei dati auto dichiarati sono presupposto per la concessione, mentre i controlli sono previsti solo in un momento successivo, una procedura assai rispetto al Rdc dove i controlli invece sono anticipati al momento dell'accettazione della relativa istanza. Il reato di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore. È reato posto a tutela del patrimonio dell'ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinate all'erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso. Deve escludersi che il reato di cui all'art. 7, comma 1, d.i. n. 4 del 2019, sia posto a tutela della fede pubblica e che si risolva in un reato di falso. Ascrivere il delitto di cui all'art. 7 dl. n. 4 del 2019, alla categoria dei reati contro la fede pubblica equivarrebbe a spostarne il disvalore dall'evento alla condotta e a svuotare di senso l'avverbio "indebitamente" che qualifica il movente tipizzato dell'azione (il dolo specifico).
La specifica previsione del finalismo della condotta decettiva è frutto della scelta del legislatore di anticipare la tutela penale al momento della domanda piuttosto che a quello dell'erogazione del beneficio e proietta il reato fuori dall'ambito della tutela della fede pubblica collocandola in quella dell'aggressione alle risorse dell'ente pubblico specificamente destinate all'erogazione del beneficio. Il dolo specifico, in questo contesto, svolge una funzione selettiva tra condotte penalmente rilevanti e quelle che tali non sono, estromettendo dalla fattispecie quelle insuscettibili di mettere in pericolo il bene protetto. Se l'agente ha comunque diritto al beneficio, la non corrispondenza al vero delle informazioni a tal fine rese non qualifica il falso come "inutile", ma rende puramente e semplicemente atipica la condotta, dovendosi escludere la natura indebita del beneficio stesso; viene meno, cioè, un elemento del fatto tipico. Il dolo specifico, nel caso di specie, non si limita a tipizzare il movente dell'azione ma assolve anche allo scopo di qualificare la condotta, costituendo, sul piano oggettivo, un elemento della fattispecie rivelatore dell'offesa che si intende prevenire (e punire).
La conclusione per il massimo consesso della Cassazione è che deve essere affermato il seguente principio di diritto: «Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all'art. 7 dl, 28 gennaio 2014 n. 4, conv. in legge 28 marzo 2019 n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge».
"Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'auto dichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui all'art. 7 del d. I. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in I. 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dall'effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio”.
La norma in questione punisce con la reclusione da due a sei anni chi, al fine di ottenere indebitamente il Rdc, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero omette informazioni dovute (comma 1) e con la reclusione da uno a tre anni chi, fruendo già del beneficio, non comunica le variazioni del reddito o del patrimonio (anche se provenienti da attività irregolari) e le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso nei termini previsti dall'art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11.
Il contrasto giurisprudenziale vede la contrapposizione di due opposti orientamenti.
Secondo un primo orientamento, integrano il delitto di cui all'art. 7, comma 1, dl. n. 4 del 2019, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del "Reddito di cittadinanza", indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.
Secondo questo indirizzo, affermato per la prima volta da Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573 e Sez. 3, n. 5290 del 25/10/2019, dep. 2020, la disciplina sanzionatoria del Rdc è correlata, nel suo complesso, al generale "principio antielusivo" che si incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; pertanto, la punibilità del reato di condotta viene correlata, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Ne consegue che le due fattispecie incriminatrici citate trovano applicazione indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e, in particolare, dal superamento delle soglie di legge.
Un diverso orientamento, inaugurato da Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336-01, e ribadito da Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Pollara, Rv. 283787, ritiene, invece, che integrano il delitto di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, soltanto le false indicazioni o le omissioni strumentali al conseguimento del beneficio cui altrimenti l'agente non avrebbe diritto.
Nel prendere consapevolmente le distanze dal primo orientamento, la suddetta pronuncia di Sez. 3, Gulino ritiene errata l'opzione ermeneutica che si basa sul parallelismo della fattispecie incriminatrice dell'art. .7 dl. n. 4 del 2019, che riguarda il reddito di cittadinanza, con la fattispecie di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, che riguarda il diverso istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato. Si afferma che, nel prevedere le sanzioni penali in caso di falsità delle (o omissioni nelle) dichiarazioni sostitutive di certificazione ovvero nelle altre dichiarazioni cui la disposizione fa riferimento, l'art. 95 d.P.R. n. 115/2002 mai richiama, come invece espressamente prevede l'art. 7 dl. n, 4 del 2019, il fatto che attraverso tali falsità od omissioni si sia perseguito il fine di accedere "indebitamente" ad un beneficio. Con tale avverbio, si osserva, il legislatore ha inteso fare riferimento non tanto ad una volontà di accesso al beneficio messa in atto non iure, in assenza, cioè, degli elementi formali che ne avrebbero consentito l'erogazione, quanto ad una volontà diretta ad un conseguimento di esso contra ius in assenza, cioè, degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento. Secondo questo orientamento ragionando diversamente si giungerebbe alla conseguenza di sanzionare penalmente la violazione di un obbligo privo di concreta offensività, laddove, si osserva, appare più in linea con il principio di necessaria offensività del reato ritenere che con l'espressione «al fine di ottenere indebitamente il beneficio» il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza. La rilevanza penale della condotta sussiste, pertanto, nei soli casi in cui l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire un beneficio altrimenti non dovuto.
Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento precisando che in realtà il bene giuridicamente protetto va correttamente individuato e non è possibile mutuarlo dal diverso reato di cui all'art.95 dpr 115/2002, ovvero la fattispecie prevista per la concessione del patrocinio a spese dello Stato, dove l'esattezza dei dati auto dichiarati sono presupposto per la concessione, mentre i controlli sono previsti solo in un momento successivo, una procedura assai rispetto al Rdc dove i controlli invece sono anticipati al momento dell'accettazione della relativa istanza. Il reato di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019, è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore. È reato posto a tutela del patrimonio dell'ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinate all'erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso. Deve escludersi che il reato di cui all'art. 7, comma 1, d.i. n. 4 del 2019, sia posto a tutela della fede pubblica e che si risolva in un reato di falso. Ascrivere il delitto di cui all'art. 7 dl. n. 4 del 2019, alla categoria dei reati contro la fede pubblica equivarrebbe a spostarne il disvalore dall'evento alla condotta e a svuotare di senso l'avverbio "indebitamente" che qualifica il movente tipizzato dell'azione (il dolo specifico).
La specifica previsione del finalismo della condotta decettiva è frutto della scelta del legislatore di anticipare la tutela penale al momento della domanda piuttosto che a quello dell'erogazione del beneficio e proietta il reato fuori dall'ambito della tutela della fede pubblica collocandola in quella dell'aggressione alle risorse dell'ente pubblico specificamente destinate all'erogazione del beneficio. Il dolo specifico, in questo contesto, svolge una funzione selettiva tra condotte penalmente rilevanti e quelle che tali non sono, estromettendo dalla fattispecie quelle insuscettibili di mettere in pericolo il bene protetto. Se l'agente ha comunque diritto al beneficio, la non corrispondenza al vero delle informazioni a tal fine rese non qualifica il falso come "inutile", ma rende puramente e semplicemente atipica la condotta, dovendosi escludere la natura indebita del beneficio stesso; viene meno, cioè, un elemento del fatto tipico. Il dolo specifico, nel caso di specie, non si limita a tipizzare il movente dell'azione ma assolve anche allo scopo di qualificare la condotta, costituendo, sul piano oggettivo, un elemento della fattispecie rivelatore dell'offesa che si intende prevenire (e punire).
La conclusione per il massimo consesso della Cassazione è che deve essere affermato il seguente principio di diritto: «Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all'art. 7 dl, 28 gennaio 2014 n. 4, conv. in legge 28 marzo 2019 n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge».
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