Riaperto il fascicolo per l’omicidio della “Cascina Spiotta” dopo circa 50 anni, nel libro “Il caso Moro, il dovere di raccontare” avevano sollevato la questione.
27-04-2023 21:56 - Cronaca
Del fenomeno brigatista culminato nel sequestro di Aldo Moro numerosi sono gli aspetti anomali. Si tratta di vuoti d’indagine che non trovano spiegazione. Per la vicenda della “Cascina Spiotta” relativa al conflitto a fuoco con due morti, il sottoufficiale dei carabinieri D’Alfonso e la brigatista Mara Cagol, e la liberazione dell’imprenditore Gangia, ad esempio, nel libro “Il caso Moro, Il dovere di raccontare” avevamo messo in evidenza diverse anomalie. Il libro edito nel giugno del 2022 non ha alcuna presunzione di aver provocato una possibile riapertura delle indagini, ma abbiamo colto con favore l’iniziativa della magistratura torinese di riaprire il caso a distanza di quasi cinquant’anni dai fatti. La Procura di Torino ha notificato un avviso di garanzia a Lauro Azzolini, 79 anni, ai tempi capo della colonna milanese delle Br e che si è poi dissociato.
Ottenuti i benefici di legge dopo una condanna all'ergastolo, attualmente collabora per una cooperativa di disabili. Azzolini è stato anche condannato per aver partecipato al sequestro di Aldo Moro seppure il successivo “memoriale Moro” non lo indica tra i protagonisti del sequestro. La Procura piemontese, nel 2022, ha aperto un fascicolo dopo un esposto presentato dal figlio del militare, Bruno D'Alfonso. Due mesi fa nel registro degli indagati è stato iscritto anche Renato Curcio, uno dei fondatori delle Br, che ora ha 81 anni. Interrogato a Roma, ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto o indiretto nella vicenda della cascina Spiotta e, anzi, ha chiesto agli inquirenti di chiarire le circostanze della morte di Mara Cagol ricordando che la donna fu trafitta da un proiettile che aveva una traiettoria orizzontale sotto l'ascella sinistra, come se avesse le braccia alzate in segno di resa.
Inizialmente Curcio era stato convocato in veste di testimone assistito - come almeno una decina di ex brigatisti prima di lui - ma poi, a pochi giorni dall'audizione, era stato formalmente indagato per concorso nell'omicidio del carabiniere D'Alfonso.
Alla cascina Spiotta il fondatore delle Br non c'era ma secondo gli inquirenti era una "figura apicale" delle Br e organizzò e pianificò nei dettagli il sequestro di Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della casa vinicola, avvenuto il 4 giugno 1975 e liberato il giorno dopo una sparatoria con i sequestratori.
Dunque lo stesso Curcio è indagato nel complesso procedimento ora portato avanti dai Pubblici Ministeri torinesi Emilio Gatti e Ciro Santoriello che hanno notificato questo nuovo avviso di garanzia all'ex terrorista Azzolini (compirà 80 anni a settembre), originario del Reggiano e residente a Milano, inizialmente prosciolto per le stesse accuse. Per proseguire con le contestazioni della Procura sarà necessaria un'autorizzazione del Giudice. La camera di consiglio davanti al Gip torinese Anna Mascolo è fissata per il prossimo 9 maggio, nel corso della quale i Pm chiederanno, appunto, di revocare la precedente sentenza di proscioglimento per “non luogo a procedere” e riaprire così il fascicolo nei confronti di Azzolini. Naturalmente seguiremo la vicenda informando i nostri lettori degli esiti del procedimento.
Di seguito quanto scritto nel libro “Il caso Moro, il dovere di raccontare”, pubblicato nel giugno del 2022, pagina 58 e seguenti.
Il posto di Curcio nella direzione strategica delle BR fu preso dalla moglie Mara Cagol che, contro il parere di Moretti, pose all’ordine del giorno l’operazione di liberazione di Curcio. Evasione che effettivamente ebbe successo, con l’assalto al carcere di Casal Monferrato della Cagol travestita da postino a bordo di un furgone per la consegna di pacchi e la fuga del prigioniero senza sparare neppure un colpo. Per tentare una riorganizzazione dopo l’evasione di Curcio le Br organizzarono il rapimento dell’industriale dello spumante, Vittorio Vallarino Gangia, per altro rapito a poca distanza dal quartier generale delle BR, l’ormai nota cascina Spiotta, dove infatti era custodito l’ostaggio. Il covo brigatista era a tal punto noto che fu individuato dai carabinieri che lo assaltarono salvando l’ostaggio. Nell’assalto un appuntato dei carabinieri, Giovanni D’Alfonso, rimase ucciso, mentre il tenente Umberto Rocco, perse un occhio ed un braccio colpito da una bomba a mano lanciata dalla Cagol per aprirsi la strada della fuga. La Cagol in fuga rimase a terra nel prato subito dopo la cascina. Curcio, che ufficialmente non era presente il giorno dello scontro a fuoco con i carabinieri avvenuto il 5 giugno del 1975, rimase sempre convinto che la Cagol fosse stata giustiziata. La donna era riuscita a scappare con l’esplosione della granata, ma era morta, secondo gli esami autoptici, perché colpita da un colpo di pistola esploso a poca distanza, all’altezza del torace subito sotto l’ascella. Al momento della sparatoria la Cagol era insieme ad un uomo. Il compagno brigatista riuscì a salvarsi, mentre Mara fu colpita a morte. Inutile sottolineare che del brigatista in fuga, responsabile del conflitto a fuoco e della morte dell’appuntato D’Alfonso, non si scoprì mai l’identità, nonostante tre dei quattro carabinieri partecipanti al conflitto a fuoco avessero visto in volto il brigatista. Qualcuno ipotizzò che fosse Curcio, ma il diretto interessato ha sempre negato e non è stato mai neppure indagato per tali fatti. Bruno Vespa nel libro “Il Cuore e la Spada” pubblicato nel 2010 è convinto che il brigatista scappato sia proprio Curcio e suppone che anzi l’irruzione dei carabinieri sia stata causata proprio da Curcio che, di guardia alla cascina Spiotta, si sia addormentato, non riuscendo a vedere i carabinieri avvicinarsi. Qualcun altro ha anche fatto il nome di Mario Moretti che era uno degli ideatori del sequestro di Gangia oltre ad essere in quel momento uno dei capi strategici delle BR. Comparve invece dopo qualche tempo, in forma anonima, un diario scritto dal brigatista sopravvissuto, che raccontava la versione brigatista dei fatti:” Mi affacciai dalla buca e vidi Mara seduta con le braccia alzate che imprecava contro i CC. Corsi giù per il pendio e quando stavo per arrivare dall'altra parte della collina ho sentito uno forse due colpi secchi, poi due raffiche di mitra. Per un attimo ho pensato che fosse stata la Mara ad adoperare il suo mitra, poi ebbi un brutto presentimento..." La testimonianza del brigatista termina con queste parole ma il brutto presentimento trova conferma nei titoli dei giornali della mattina successiva: Mara Cagol è stata uccisa. Naturalmente il diario taceva dell’uccisione del carabiniere D’Alfonso e del grave ferimento dell’appuntato Rocco. La versione ufficiale dei fatti, oggetto anche di un procedimento penale, è invece diversa. Il primo conflitto a fuoco era avvenuto nei pressi della cascina dove i due brigatisti avevano lanciato una bomba a mano per aprirsi la strada per poi sparare uccidendo D’Alfonso e dilaniando il braccio di Rocco, mentre un terzo carabiniere veniva ferito meno gravemente, i brigatisti, convinti di aver messo fuori gioco i drappello di carabinieri, si avviarono verso la macchina, ma non sapevano che un quarto carabiniere, Pietro Barberis, che era rimasto nella gazzella posteggiata poco più avanti proprio per sbarrare la strada ad eventuali automobili in fuga, alla vista dei brigatisti abbandonò l’auto dei carabinieri preparandosi al tiro con la pistola. I brigatisti finirono fuori strada poco davanti alla gazzella dei carabinieri e tentarono, almeno la donna, una ulteriore reazione, che costrinse il carabiniere a sparare tre colpi uccidendo la Cagol, il brigatista invece riuscì a fuggire per le campagne. Non solo non fu ripreso, ma mai neppure identificato. L’irruzione alla “cascina Spiotta” è certamente, ancora oggi, avvolta nel mistero almeno nei dettagli. Non è stato mai ufficialmente individuato il brigatista riuscito a scappare nonostante sia stato visto in volto dai carabinieri sopravvissuti, ma neppure è chiaro come mai i brigatisti, avendo il rapito al loro fianco, non si fossero fatti scudo dell’ostaggio, preferendo invece andare incontro ai carabinieri lanciando bombe a mano e rischiando la reazione militare che poi avrebbe portato alla morte della Cagol.
Ottenuti i benefici di legge dopo una condanna all'ergastolo, attualmente collabora per una cooperativa di disabili. Azzolini è stato anche condannato per aver partecipato al sequestro di Aldo Moro seppure il successivo “memoriale Moro” non lo indica tra i protagonisti del sequestro. La Procura piemontese, nel 2022, ha aperto un fascicolo dopo un esposto presentato dal figlio del militare, Bruno D'Alfonso. Due mesi fa nel registro degli indagati è stato iscritto anche Renato Curcio, uno dei fondatori delle Br, che ora ha 81 anni. Interrogato a Roma, ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto o indiretto nella vicenda della cascina Spiotta e, anzi, ha chiesto agli inquirenti di chiarire le circostanze della morte di Mara Cagol ricordando che la donna fu trafitta da un proiettile che aveva una traiettoria orizzontale sotto l'ascella sinistra, come se avesse le braccia alzate in segno di resa.
Inizialmente Curcio era stato convocato in veste di testimone assistito - come almeno una decina di ex brigatisti prima di lui - ma poi, a pochi giorni dall'audizione, era stato formalmente indagato per concorso nell'omicidio del carabiniere D'Alfonso.
Alla cascina Spiotta il fondatore delle Br non c'era ma secondo gli inquirenti era una "figura apicale" delle Br e organizzò e pianificò nei dettagli il sequestro di Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della casa vinicola, avvenuto il 4 giugno 1975 e liberato il giorno dopo una sparatoria con i sequestratori.
Dunque lo stesso Curcio è indagato nel complesso procedimento ora portato avanti dai Pubblici Ministeri torinesi Emilio Gatti e Ciro Santoriello che hanno notificato questo nuovo avviso di garanzia all'ex terrorista Azzolini (compirà 80 anni a settembre), originario del Reggiano e residente a Milano, inizialmente prosciolto per le stesse accuse. Per proseguire con le contestazioni della Procura sarà necessaria un'autorizzazione del Giudice. La camera di consiglio davanti al Gip torinese Anna Mascolo è fissata per il prossimo 9 maggio, nel corso della quale i Pm chiederanno, appunto, di revocare la precedente sentenza di proscioglimento per “non luogo a procedere” e riaprire così il fascicolo nei confronti di Azzolini. Naturalmente seguiremo la vicenda informando i nostri lettori degli esiti del procedimento.
Di seguito quanto scritto nel libro “Il caso Moro, il dovere di raccontare”, pubblicato nel giugno del 2022, pagina 58 e seguenti.
Il posto di Curcio nella direzione strategica delle BR fu preso dalla moglie Mara Cagol che, contro il parere di Moretti, pose all’ordine del giorno l’operazione di liberazione di Curcio. Evasione che effettivamente ebbe successo, con l’assalto al carcere di Casal Monferrato della Cagol travestita da postino a bordo di un furgone per la consegna di pacchi e la fuga del prigioniero senza sparare neppure un colpo. Per tentare una riorganizzazione dopo l’evasione di Curcio le Br organizzarono il rapimento dell’industriale dello spumante, Vittorio Vallarino Gangia, per altro rapito a poca distanza dal quartier generale delle BR, l’ormai nota cascina Spiotta, dove infatti era custodito l’ostaggio. Il covo brigatista era a tal punto noto che fu individuato dai carabinieri che lo assaltarono salvando l’ostaggio. Nell’assalto un appuntato dei carabinieri, Giovanni D’Alfonso, rimase ucciso, mentre il tenente Umberto Rocco, perse un occhio ed un braccio colpito da una bomba a mano lanciata dalla Cagol per aprirsi la strada della fuga. La Cagol in fuga rimase a terra nel prato subito dopo la cascina. Curcio, che ufficialmente non era presente il giorno dello scontro a fuoco con i carabinieri avvenuto il 5 giugno del 1975, rimase sempre convinto che la Cagol fosse stata giustiziata. La donna era riuscita a scappare con l’esplosione della granata, ma era morta, secondo gli esami autoptici, perché colpita da un colpo di pistola esploso a poca distanza, all’altezza del torace subito sotto l’ascella. Al momento della sparatoria la Cagol era insieme ad un uomo. Il compagno brigatista riuscì a salvarsi, mentre Mara fu colpita a morte. Inutile sottolineare che del brigatista in fuga, responsabile del conflitto a fuoco e della morte dell’appuntato D’Alfonso, non si scoprì mai l’identità, nonostante tre dei quattro carabinieri partecipanti al conflitto a fuoco avessero visto in volto il brigatista. Qualcuno ipotizzò che fosse Curcio, ma il diretto interessato ha sempre negato e non è stato mai neppure indagato per tali fatti. Bruno Vespa nel libro “Il Cuore e la Spada” pubblicato nel 2010 è convinto che il brigatista scappato sia proprio Curcio e suppone che anzi l’irruzione dei carabinieri sia stata causata proprio da Curcio che, di guardia alla cascina Spiotta, si sia addormentato, non riuscendo a vedere i carabinieri avvicinarsi. Qualcun altro ha anche fatto il nome di Mario Moretti che era uno degli ideatori del sequestro di Gangia oltre ad essere in quel momento uno dei capi strategici delle BR. Comparve invece dopo qualche tempo, in forma anonima, un diario scritto dal brigatista sopravvissuto, che raccontava la versione brigatista dei fatti:” Mi affacciai dalla buca e vidi Mara seduta con le braccia alzate che imprecava contro i CC. Corsi giù per il pendio e quando stavo per arrivare dall'altra parte della collina ho sentito uno forse due colpi secchi, poi due raffiche di mitra. Per un attimo ho pensato che fosse stata la Mara ad adoperare il suo mitra, poi ebbi un brutto presentimento..." La testimonianza del brigatista termina con queste parole ma il brutto presentimento trova conferma nei titoli dei giornali della mattina successiva: Mara Cagol è stata uccisa. Naturalmente il diario taceva dell’uccisione del carabiniere D’Alfonso e del grave ferimento dell’appuntato Rocco. La versione ufficiale dei fatti, oggetto anche di un procedimento penale, è invece diversa. Il primo conflitto a fuoco era avvenuto nei pressi della cascina dove i due brigatisti avevano lanciato una bomba a mano per aprirsi la strada per poi sparare uccidendo D’Alfonso e dilaniando il braccio di Rocco, mentre un terzo carabiniere veniva ferito meno gravemente, i brigatisti, convinti di aver messo fuori gioco i drappello di carabinieri, si avviarono verso la macchina, ma non sapevano che un quarto carabiniere, Pietro Barberis, che era rimasto nella gazzella posteggiata poco più avanti proprio per sbarrare la strada ad eventuali automobili in fuga, alla vista dei brigatisti abbandonò l’auto dei carabinieri preparandosi al tiro con la pistola. I brigatisti finirono fuori strada poco davanti alla gazzella dei carabinieri e tentarono, almeno la donna, una ulteriore reazione, che costrinse il carabiniere a sparare tre colpi uccidendo la Cagol, il brigatista invece riuscì a fuggire per le campagne. Non solo non fu ripreso, ma mai neppure identificato. L’irruzione alla “cascina Spiotta” è certamente, ancora oggi, avvolta nel mistero almeno nei dettagli. Non è stato mai ufficialmente individuato il brigatista riuscito a scappare nonostante sia stato visto in volto dai carabinieri sopravvissuti, ma neppure è chiaro come mai i brigatisti, avendo il rapito al loro fianco, non si fossero fatti scudo dell’ostaggio, preferendo invece andare incontro ai carabinieri lanciando bombe a mano e rischiando la reazione militare che poi avrebbe portato alla morte della Cagol.
Il giorno della morte di Margherita, detta Mara, Cagol è anche il giorno in cui viene sostituito il capo della polizia. Efisio Zanda Loy, anche egli accusato da Sossi (prigioniero) di pressioni e di complicità con Taviani nei traffici di diamanti ed armi, si dimette ed il governo nomina il prefetto Giorgio Menichini che però resterà in carica poco tempo, poco più di un anno. L’avvicendamento del capo della polizia Zanda Loy suscita polemiche anche perché oltre ad avvenire in un momento di impegno nella lotta al terrorismo si verifica durante la campagna elettorale per le elezioni regionali.
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