03 Dicembre 2024
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Le idi di marzo del 78. Una pugnalata mortale alla Democrazia Cristiana.

16-03-2024 14:58 - Cronaca
Sono ormai passati 46 anni dal tragico 16 marzo del 1978 ed ancora oggi diversi sono i punti oscuri di quella tragica vicenda che culminò con l’uccisione di Aldo Moro, il successivo 9 maggio, dopo 55 giorni di prigionia. L’azione da commando che dette iniziò a l’operazione “Fritz”, come le BR chiamarono la manovra eversiva, che portò al rapimento di Moro ed allo sterminio della scorta in via Fani. L’uccisione di due carabinieri: il maresciallo Oreste Leonardi, capo scorta di Moro, che tentò anche con il suo corpo di proteggere lo statista democristiano, l’autista Domenico Ricci che cercò disperatamente di liberare la Fiat 130 incastrata tra l’Alfetta di scorta che seguiva e la Fiat 128 familiare condotta da Mario Moretti che si era improvvisamente posta davanti. E tre poliziotti che seguivano: l’autista Giulio Rivera esperto di guida veloce, il giovane Raffaele Iozzino che dal divano posteriore dell’Alfetta riuscì a scendere e impugnando la pistola ad esplodere due colpi ferendo certamente un aggressore (rimasto ancora oggi ignoto) e Francesco Zizzi al primo giorno di servizio di scorta per aver sostituito un collega, Rocco Gentiluomo, provvidenzialmente andato in ferie proprio quella mattina.

Seguirono giorni di angoscia e tensioni vissuti in una condizione di impotenza con il prigioniero che invocava il diritto alla vita prevalente rispetto ad “un astratto principio di legalità”. Lettere spedite, con il consenso dei carcerieri, per spingere lo Stato alla trattativa con un gruppo di criminali le cui reali motivazioni e soprattutto protezioni e probabili aiuti restano ancora oggi nel livello suggestivo delle ipotesi per mancanza di prove, spesso bollate, principalmente dal retroterra politico e sociale dove si era alimentato il fenomeno brigatista, come dietrologia.

Abbiamo indagato a fondo la vicenda in due distinti volumi (si vedano i link in calce), residua ancora approfondire soprattutto in sede storica la portata dirompente del grave attentato alla democrazia. Un atto paragonabile ad un colpo di Stato, “l’attacco al cuore dello Stato” scrissero nei loro comunicati le BR, che ha cambiato radicalmente lo sviluppo successivo della politica italiana, imprigionando le forze di governo in un perimetro immutabile sino alla caduta del blocco sovietico ed alla fine della “prima Repubblica”. Il trauma incise profondamente nella Democrazia Cristiana, il partito di Aldo Moro, logorato dai sensi di colpa per un trattativa forse possibile, dalla naturale paura conseguenza dell’eccidio di uno dei principali capopartito, dal senso di impotenza nonostante l’apparente padronanza delle leve del potere. Dopo le "idi di marzo del 78", gradualmente la Democrazia Cristiana affidò la guida del governo agli alleati limitandosi ad un ruolo non più egemone e perdendo definitivamente ogni forza di proposta politica in termini di riforme e di modernizzazione della società che era stato il motivo fondante del partito dei cattolici. Lo stesso partito è affidato nella segreteria ad un uomo, Ciriaco De Mita, proveniente da una corrente storicamente minoritaria, quella della “Base”, proprio per l’evidente scoramento dei tradizionali e vincenti esponenti che scomparvero anche per motivi anagrafici senza favorire un ricambio generazionale utile a proseguire l’esperienza nata dall’impegno di De Gasperi. Dopo il tragico epilogo del sequestro Moro seguiranno ancora una decina d’anni di vita del partito dei cattolici, ma è con il 1978 che la DC inizia la parabola discendente di una gloriosa storia che pure ha significato sviluppo, benessere, libertà ed inserimento negli organismi internazionali anche con ruoli da protagonista per l’Italia. Senza la Democrazia Cristiana, forza politica di mediazione, il paese, all’indomani della fine del conflitto mondiale, avrebbe molto probabilmente subito una guerra civile che sarebbe stata repressa da una svolta autoritaria di destra, magari sobillata dall’amministrazione USA nella cui sfera d’influenza l’Italia era stata assegnata negli accordi di Yalta. L’uccisione di Moro accelerò la dipartita di papa Paolo VI, già malato, che spese le ultime energia nel disperato tentativo di salvare l’amico conosciuto quando il pontefice era un giovane sacerdote incaricato dell’assistenza spirituale della Federazione degli Universitari Cattolici. Giovan Battista Montini era stato tra i fondatori, almeno sotto il profilo ideale se non proprio materiale, della Democrazia Cristiana. I nuovi pontefici, tutti stranieri, imposero gradualmente la fine dell’unità politica dei cattolici italiani ponendo le basi ideologiche per chiudere l’esperienza politica della Democrazia Cristiana. Paradossalmente l'epilogo della Democrazia Cristiana in Italia ha segnato anche una crisi della Chiesa, oggi tristemente evidente, non più in grado di elaborare una dottrina sociale ed un’offerta cultura capace di attrarre fedeli, che, nell’epoca della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica ed informatica non sono disposti a praticare le parrocchie e soprattutto a declamare la liturgia del messale solo per una semplice adesione fideistica.

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