15 Settembre 2024
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70 anni fa moriva Alcide De Gasperi. Di seguito estratto dal libro "Speravamo di morire democristiani" di Salvatore Piccolo

19-08-2024 20:23 - Storia
70 anni fa lasciava questo mondo Alcide De Gasperi, padre della patria. Di seguito un estratto tratto dal libro "Speravamo di morire democristiani. Nascita, vita e morte della DC" di Salvatore Piccolo.
Quando nacque, da una famiglia piccolo borghese, il 3 aprile del 1881 il paese natale, Pieve Tesino, si trovava in Austria, nell’Alto Adige o se si preferisce nel Sud Tirolo. Il padre Amedeo era di origini sarde (il cognome si trova anche scritto nella forma Degasperi) ed era maresciallo della gendarmeria austriaca. Per il primo figlio scelse un nome insolito, secondo alcuni racconti il gendarme passeggiando per le vie di Trento era rimasto affascinato da un affresco murario che ritraeva una delle imprese di Ercole, l’invincibile eroe greco. Aveva chiesto spiegazione e non volendo dare al figlio il nome diretto di Ercole, troppo impegnativo e pagano, ricorse al nome Alcide ovvero coloro che discendevano da Alceo, il mitico re dei Tindari, padre di Perseo e di Anfitrione a sua volta padre di Ercole. In pratica così come Achille è il pelide, secondo Amedeo Ercole è l’alcide, questa l’origine del nome. Alcide era il primogenito di quattro figli che seguirono gli studi sotto la guida di un sacerdote, Vittorio Merlen, presso il collegio vescovile di Trento, il fratello minore, Mario, si avviò al sacerdozio prima di morire in giovane età. Per uno strano scherzo del destino la madre, Maria Morandini era originaria di Predazzo, il paese natale di Benito Mussolini, due anni più giovane di Alcide De Gasperi, dove trascorreva le vacanze estive con tutta la famiglia ogni anno ed è probabile che i due ragazzini si siano incontrati da bambini giocando nelle vie del piccolo paese. Gli studi presso il collegio vescovile trentino avevano la peculiarità di infondere al cattolicesimo una spiccata sensibilità verso la tradizione italiana della religione che nell’Alto Adige, parte dell’impero asburgico, diveniva elemento di unione per le spinte irredentiste.

Per gli studi universitari, iniziati proprio all’inizio del secolo, De Gasperi si trasferisce a Vienna per conseguire una laurea in filosofia. La capitale dell’impero è in quel momento attraversata da un acceso dibattito culturale che si intreccia con le tendenze politiche. Borgomastro di Vienna è Karl Lueger un politico austriaco molto popolare, è eletto dal movimento cristiano sociale, un gruppo politico che si richiama alla dottrina sociale della Chiesa e ha stretti legami con le gerarchie cattoliche. La legislazione asburgica prevede che il sindaco (borgomastro), eletto dal consiglio comunale, debba conseguire l’approvazione dell’imperatore. Francesco Giuseppe, per ben tre volte, rifiuta di ratificare l’elezione del borgomastro ritenendo Lueger un pericoloso sovversivo, ma il consiglio comunale, anche per contrastare le indicazioni del sovrano, elegge Lueger alla carica sino a quando, nel 1897, Leone XIII in persona non si spende presso l’imperatore, osservante cattolico, per far ratificare la nomina. Uno dei motivi dell’avversione di Francesco Giuseppe verso Lueger è un acceso antisemitismo che il politico viennese diffonde come tesi politica. Quando a Vienna, dal 1907 al 1913, soggiorna Adolf Hitler quelle teorie contro gli ebrei sono una ispirazione negativa per quello che sbarca il lunario come imbianchino e a tempo perso dipinge qualche tela. Lueger è tra i primi ad attuare una politica sociale, additata a esempio da tutti i movimenti cattolici d'Europa, forte di una base elettorale piccolo borghese e anche operaia, che dalla capitale si allarga nelle provincie, strappando ai conservatori cattolici il tradizionale predominio. De Gasperi, proveniente dalla provincia cattolica trentina, ha subito sotto gli occhi un campo sperimentale senza precedenti della "politica cattolica". Entra in contatto con il movimento studentesco cattolico dell'Università di Vienna che costituisce la colonna portante del partito cristiano-sociale. Diviene membro dell'Unione cattolica italiana, che è parte di un cartello politico cattolico e stringe amicizia con diversi giovani tra i cui Franz Hemala, che sarà un organizzatore del sindacalismo cristiano, e Friedrich Funder, direttore del Reichspost, quotidiano influente del cattolicesimo sociale austriaco. A Vienna, oltre all'intensa partecipazione alle riunioni studentesche, si dedica al proselitismo attivo predicando il verbo della Rerum novarum negli ambienti operai dell'emigrazione trentina, scontrandosi con i socialisti. A Trento, dove torna per le vacanze estive, prende viva parte alle iniziative cattoliche locali, in particolare dell'Associazione cattolica trentina in cui travasa le esperienze viennesi. De Gasperi conosce Romolo Murri in occasione di un viaggio a Roma compiuto nel marzo 1902, dove è ricevuto in udienza privata da Leone XIII. Tra le varie sedi dei gruppi del movimento cattolico a Roma si reca soltanto in quella della Democrazia Cristiana, dove, oltre al sacerdote marchigiano, conosce Antonio Fogazzaro che ha già aderito al modernismo ed è un apprezzato scrittore e poeta. Con Murri nasce una corrispondenza epistolare, e più volte sul settimanale diretto dal sacerdote marchigiano, Il Domani d'Italia, compaiono articoli firmati da Alcide De Gasperi a proposito dei cristiano-sociali austriaci, così come Murri scrive sul Reichspost dei democristiani italiani grazie all’intercessione di De Gasperi. L’incontro con Murri è fulminante e il giovane De Gasperi aderisce con convinzione alle idee riformatrici del sacerdote. L’adesione al programma murriano si arresta quando il sacerdote marchigiano supera il crinale politico sociale per investire la sfera ecclesiale. De Gasperi osserva, seppure a distanza, il travaglio della Democrazia Cristiana di Romolo Murri nella crisi che la travolge a cavallo dello scioglimento dell'Opera dei congressi e inizia a raffreddare i rapporti con Murri, passando poi alla sconfessione e alla cancellazione storica, dopo la scomunica del sacerdote. Il punto di dissenso è rappresentato, secondo quando scriverà lo stesso De Gasperi, dall' "infelicissimo pensiero" di voler "trasformare la Democrazia Cristiana in una riforma della filosofia, delle scienze sacre e degli ordinamenti ecclesiastici". Di Romolo Murri alla fine De Gasperi dirà che è un "misero apostata", con un raro giudizio impulsivo. A Trento la curia ha dato vita a un Comitato diocesano per l’Azione cattolica, costituito nel 1898, di cui sono animatori i sacerdoti Celestino Endrici e Guido Gentili, centro di direzione della propaganda e dell'iniziativa politica e sociale. Il passaggio ulteriore è la costituzione dell'Unione politica popolare del trentino (UPPT), che ha una lunga gestazione e tiene il congresso costitutivo nell'ottobre del 1904 proprio mentre a livello nazionale si consumano le vicende traumatiche degli strappi di Murri e dell’Opera dei congressi. Un anno traumatico il 1904 perché De Gasperi è arrestato e passa qualche settimana nelle carceri di Innsbruck per aver avuto parte attiva nelle manifestazioni studentesche per l'istituzione di una cattedra italiana di giurisprudenza nella locale università, che si lega al più generale movimento per un'università di lingua italiana nel trentino austriaco. La Provvidenza vuole che in quegli anni alla cattedra di vescovo di Trento venga chiamato proprio Celestino Endrici. De Gasperi, responsabile delle associazioni universitarie cattoliche, ha aderito subito all’UPPT dove ha stretto amicizia con Celestino Endrici e quando questi diviene vescovo immediata è la nomina per De Gasperi a direttore del giornale “La Voce cattolica”, pubblicato dalla curia trentina. Ha appena compiuto venticinque anni. Dagli anni universitari De Gasperi è impegnato in una intensa attività giornalistica, specie sulla stampa trentina, ma questa volta più che una designazione professionale si tratta di una nomina politica. De Gasperi è ormai riconosciuto come uno degli intellettuali di maggior spicco del cattolicesimo trentino, il punto di raccordo con il movimento politico, l'uomo della propaganda, dell'organizzazione politica e della tattica elettorale, membro del Comitato diocesano, segretario dell'UPPT, direttore del Trentino, che ha sostituito La Voce cattolica nel settembre 1906 per sottolineare il trapasso da organo della curia a giornale politico, vicepresidente e membro del comitato esecutivo della Banca industriale, membro del consiglio di sorveglianza dell'Unione trentina delle imprese elettriche, dal 1909 consigliere comunale di Trento. Con questo curriculum e con un importante radicamento territoriale arriva anche l’elezione, nel 1911, al parlamento di Vienna. L’impegno parlamentare si sviluppa con una costante azione presso le autorità intorno ai problemi concreti del Trentino con interventi puntuali, insistendo molto sulla difesa dei diritti linguistici degli italiani contro le disposizioni del governo e puntando sulla richiesta di una facoltà giuridica italiana a Vienna, proseguendo su questo punto la battaglia che lo aveva portato in carcere nel 1904. Pochi anni dopo l’Europa si incendia per la prima guerra mondiale. A differenza di molti cattolici italiani De Gasperi si adopera per la neutralità italiana e compie, tra il marzo del 1914 e l'entrata in guerra dell'Italia, più di un viaggio a Milano e a Roma. A Roma incontra Sidney Sonnino che nel suo Diario, annota: "è cattolico, di sentimenti italiani. Dice che l'opinione nel Trentino è divisa: alcuni frementi per l'italianità, molti più calmi ma non male disposti; però temono per i loro interessi materiali". Allo scoppio della guerra il Trentino è attraversato dalla linea del fronte, con migliaia di coscritti inviati dall’impero austroungarico sul fronte russo proprio per allontanarli dal territorio natio e altre migliaia di internati nei campi profughi. Il parlamento di Vienna è stato chiuso il 25 luglio 1914 e sono sospese le immunità parlamentari. De Gasperi avverte pericoli per la sua persona in Valsugana e si pone sotto la vigilanza della polizia di Vienna giudicandola meno vessatoria, dedicandosi con dedizione al Comitato profughi, posto sotto il patronato dell'arciduchessa Maria Josepha e sotto la presidenza dell'ex primo ministro barone von Beck.

Nell'estate del 1917 il nuovo imperatore Carlo I dispone la riapertura del Parlamento. L’ultimo intervento nell’assise austriaca di De Gasperi è datato 11 ottobre 1918, di fronte alle ventilate intenzioni austriache di indire un plebiscito nel Trentino, dichiara che quelle popolazioni attendono "dal trattato di pace, il riconoscimento del principio nazionale" e, se il plebiscito fosse stato indetto, "la stragrande maggioranza della popolazione italiana approverebbe senz'altro questo punto di vista, con piena convinzione”. De Gasperi, che è cittadino asburgico, non è chiamato alle armi, nonostante l’età giovanile e il fisico prestante, sia per lo status di deputato, sia perché di lingua italiana ed esponente in parlamento della minoranza italiana in Trentino, una delle regioni contese che sono alla base dell’ingresso in guerra dell’Italia e per questo guardato con sospetto a Vienna. Le truppe italiane entrano a Trento il 3 novembre del 1918 e ben presto l’intera regione è annessa al Regno d’Italia, non senza problemi dovuti alle conseguenze della guerra. In Trentino si registrano un gran numero di giovani morti, numerosi altri che, in quanto cittadini asburgici, hanno combattuto con la divisa austroungarica e altri che si sono arruolati con l’esercito italiano rischiando la fucilazione come traditori in caso di cattura, reduci che tornano dai luoghi di prigionia con grande ritardo, in alcuni casi anche nella prima metà degli anni 20. L’impero asburgico vive una crisi di natura identitaria epocale che sta portando allo sfaldamento dell’impero. Questo è il motivo per cui Carlo I si è deciso a chiedere l’armistizio all’Italia, la guerra sotto il profilo militare non ha visto successi da parte dell’Esercito italiano. Tutt’altro, le sorti della guerra culminate nella disfatta di Caporetto sono sempre state, sotto il profilo militare, in favore degli austriaci. Con l’inizio della crisi identitaria dell’impero numerosi militari iniziano a disertare ormai non più convinti a combattere per una patria e una bandiera che non esiste più. Tuttavia l’impero austroungarico è ben amministrato, Trento sotto l’amministrazione austriaca ha prosperato ed è una cittadina ricca, così il Trentino ha una condizione economica superiore alla media delle altre zone italiane ed è parte di una regione geografica che in lingua tedesca si chiama ancora oggi Tirol (Tirolo) con due grosse zone quella nord intorno a Innsbruck e quella sud, ora in Italia, distinta da una zona a maggioranza linguistica tedesca con capoluogo Bolzano e quella intorno a Trento con maggioranza linguistica italiana. La legislazione austriaca prevedeva un’ampia autonomia con tutela delle minoranze linguistiche, al parlamento di Vienna si potevano pronunciare discorsi in 12 diverse lingue, un numero maggiore di quelle oggi in uso nel parlamento europeo, la pubblica amministrazione imperiale, snella ed efficace, non trovava alcuna ostilità da parte dei sudditi.

Divenuto cittadino italiano De Gasperi concentra l’attività politica nel Partito popolare trentino di cui è il segretario sin dalla fondazione, un partito regionale che in realtà ha la vera guida nel vescovo di Trento, Celestino Endrici. Il vescovo si è convinto, dopo il successo elettorale del Partito popolare italiano nel 1919, che la nuova formazione cattolica ha la prospettiva di raccogliere e unificare i cattolici italiani e spedisce ben presto a Roma il segretario De Gasperi per aderire, con il Partito popolare trentino, al Partito popolare nazionale. Alle prime elezioni alle quali partecipa il PPI nel novembre del 1919, il Trentino non è ancora annesso all’Italia e De Gasperi e i popolari del Tirolo italiano non partecipano alla consultazione elettorale perché ancora privi dell’elettorato attivo e passivo. La legislatura dura solo due anni e nel 1921 De Gasperi entra in parlamento, eletto con i voti del Trentino dove il PPI supera il 50 per cento dei voti, tra le fila dei popolari. Si vota con una nuova legge elettorale, di natura proporzionale, e con il suffragio universale anche se solo maschile. Le modalità di voto sono particolari, il presidente di seggio consegna all'elettore una busta indicandogli di inserirvi una scheda ufficiale di lista non piegata. La scheda consiste in un quadrato di carta bianca di 12 centimetri di lato che riporta il simbolo della lista e uno spazio per le preferenze (da una a quattro in relazione al numero di deputati eletti nel collegio), le schede possono essere consegnate dai rappresentanti di lista, ma senza alcuna "esortazione o pressione" verso l'elettore. L'elettore, inserita la scheda di propria scelta, sigilla la busta e la riconsegna al presidente di seggio. I primi interventi in parlamento di De Gasperi ricalcano i precedenti avvenuti nel parlamento austriaco. Numeri e fatti concreti per il territorio di provenienza al quale presta massima attenzione e per il quale in parlamento prende la parola. Dopo poco tempo il capogruppo parlamentare del PPI, Sergio Cavazzoni, richiama De Gasperi invitandolo a cambiare stile, perché la prassi parlamentare italiana consiste nel fatto che in parlamento si pongono questioni generali, di natura politica, che riguardano l’intero territorio nazionale, mentre delle questioni locali si occupano i consigli provinciali. Un buon consiglio per De Gasperi che ben presto riesce a ritagliarsi un ruolo rilevante come mediatore tra le diverse anime del partito che, seppure all’esterno appare compatto sotto la guida di don Luigi Sturzo, in realtà subisce un vero e proprio travaglio interno in stretta correlazione con le profonde e rapide trasformazioni della vita parlamentare italiana. Meno di un anno dopo l’insediamento del nuovo parlamento e di un nuovo governo, guidato da Ivanoe Bonomi nel cui gabinetto sono entrati anche alcuni ministri popolari, Giolitti causa l’ennesima crisi di governo. Il Partito popolare, forse privo di esperienza parlamentare, non riesce a prendere una decisione unanime e si divide. Da una parte coloro che sostengono Giolitti per un nuovo dicastero, dall’altra Sturzo che rifiuta il ritorno del vecchio politico piemontese accusato, non a torto, di eccessivo trasformismo e di maneggio dei parlamentari. La medicina è peggiore del male perché il PPI, nonostante il dissenso di Sturzo, decide di accomodarsi ai posti di governo del nuovo ministero affidato a Luigi Facta, un modesto politico, di stretta osservanza giolittiana, che alla prova dei fatti si dimostra incapace di fronteggiare quella che è una modesta parata di squadristi a Roma e che passerà alla storia con il nome di marcia su Roma. Quattro mesi prima della marcia su Roma De Gasperi sposa Francesca Romani, tredici anni più giovane di lui, sorella di un militante del PPI trentino, figlia di un agiato commerciante di Borgo di Valsugana. Sportiva, bella e colta, aveva studiato lingue all’estero. La successiva mossa del PPI è ancora più clamorosa e mette in luce i difetti del primo popolarismo. Sino alla marcia su Roma i popolari si sono divisi sulla scelta di appoggiare Giolitti e coloro che sono contrari hanno come prospettiva, non di immediata realizzazione, un’alleanza tra popolari e socialisti che avrebbe messo in minoranza non solo Giolitti, ma tutto il vecchio mondo liberale. Un accadimento radicale per l’epoca perché comportava la messa in minoranza non solo di Giolitti, ma di un intero sistema politico in fondo erede diretto del parlamentarismo liberale che ha guidato il paese nel difficile compito di creare un’Italia unita dopo gli eventi, epocali, che avevano portato all’unificazione italiana che, in termini giuridici, si erano risolti nell’annessione del resto d’Italia al Regno di Sardegna. Sturzo comprende che il suffragio universale maschile, ormai adottato nel 1921, ha un carattere transitorio perché destinato a diventare universale e basta con il voto anche alle donne. Questo comporta il trionfo di forze popolari capaci di attrarre consenso nella stragrande maggioranza degli elettori di condizione sociale bassa mentre il vecchio sistema liberale fondava la propria forza sul notabilato di natura aristocratica privo di qualsiasi possibilità di ricambio e nel quale si negava la possibilità di riscatto rispetto alla condizione di nascita e non era previsto alcun ascensore sociale: chi nasceva figlio di contadino moriva lavorando nei campi. De Gasperi cerca di assumere un ruolo di mediazione tra le due fazioni del partito, ma quando si rende conto che la maggioranza, soprattutto parlamentare, è dalla parte del gruppo che spinge per trattare con Giolitti, non esita a schierarsi contro Sturzo. Allo stesso modo quando il re, dopo la marcia su Roma, affida l’incarico di formare il governo a Mussolini i popolari si dividono tra quelli che vogliono entrare nel governo e quelli che individuano nel fascismo un pericolo per la democrazia. De Gasperi opera una sottile distinzione tra il gruppo parlamentare e il partito stesso. Sturzo, al contrario, in minoranza nel gruppo parlamentare si appella al partito che invece lo segue. Proprio De Gasperi, all’indomani della marcia su Roma, il 30 ottobre del 1921 riunisce un direttorio di parlamentari popolari che deliberano l’ingresso nel primo governo di Mussolini di 5 deputati, due ministri, Vincenzo Tangorra al Tesoro e Sergio Cavezzoni al Lavoro e tre sottosegretari, Ernesto Vassallo, Fulvio Milani e Giovanni Gronchi. Il direttorio e De Gasperi in prima persona pretendono poi che il partito e l’intero gruppo parlamentare accettino la scelta, compresa quella di astenersi rispetto a una legge elettorale, quella denominata Acerbo, contro la quale un solo parlamentare popolare, contravvenendo alla disciplina di partito, voterà contro: Giovanni Merizzi di Sondrio, ma ha studiato giurisprudenza nell’ateneo intitolato a Federico II a Napoli. Una legge elettorale ideata da Mussolini che prevede un premio di maggioranza pari a 2/3 dei seggi al partito che raggiunge almeno il 25 per cento. La replica di Sturzo non si fa attendere e al congresso del PPI che si tiene a Torino nell’aprile del 1923, da segretario del partito pronunzia un duro discorso contro la legge Acerbo e contro il fascismo di fatto attaccando De Gasperi. Mussolini scrive un articolo sul quotidiano “Il Popolo d’Italia” bollandolo come il discorso di un nemico e Sturzo definito prete “sinistro”, “uomo infausto che vuol mettere le forze rurali cattoliche come un macigno sulla via imperiale assegnata all’Italia”. Il Duce attraverso i vertici vaticani, ai quali già ha promesso il concordato per chiudere la questione romana, ottiene prima le dimissioni da segretario di Sturzo e poi il definitivo esilio. La collaborazione con Mussolini dei popolari dura molto poco perché dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti inizia una rapida involuzione in senso autoritario del fascismo e De Gasperi, che dopo l’esilio di Sturzo è stato chiamato alla segreteria del partito popolare, si accorge sulla propria pelle dell’errore commesso. Prima della scelta del nuovo segretario, subito dopo le dimissioni di Sturzo, il PPI viste le imminenti elezioni del 1924 fissate nel mese di gennaio, decide di affidare la guida del partito a un triumvirato composto da Giovanni Gronchi, che si è ritagliato un ruolo di leader nel campo del sindacalismo bianco, il romano Giuseppe Spataro e il napoletano Giulio Rudinò. Le nuove elezioni successive a due scioglimenti anticipati del parlamento, questa volta sono dovute all’approvazione della nuova legge elettorale, come è prevedibile vedono l’affermazione del Partito nazionale fascista. De Gasperi entra, insieme ad altri 35 deputati, per la seconda volta nel parlamento italiano, con le liste del PPI presentate in maniera autonoma, rispetto al blocco fascista, in tutto il territorio nazionale. Nel successivo mese di maggio del 1924 per De Gasperi arriva l’elezione, all’unanimità, a segretario nazionale del PPI ma poco dopo l’omicidio Matteotti e la successiva presa di posizione di Mussolini che rivendica la natura politica dell’assassinio ha inizio la dittatura. Dapprima le opposizioni si ritirano dal parlamento in forte protesta con la svolta autoritaria, non senza polemiche e tentennamenti interni anche tra i popolari, poi il regime inizia una rapida e veloce persecuzione rivolta ai politici più autorevoli dei partiti di opposizione. Il quotidiano del PPI, “il Popolo”, è chiuso già nel novembre del 1925, i deputati che hanno abbandonato il parlamento sono dichiarati decaduti. Dopo il fallito attentato a Mussolini a opera dell’anarchico Anteo Zamboni, la caccia agli oppositori trova una legittimazione ulteriore agli occhi dei fascisti. All’inizio De Gasperi, sorvegliato speciale del regime, si ritira nella casa di montagna a Borgo di Valsugana, dove subisce diverse aggressioni squadriste. In questo periodo chiede il passaporto per recarsi in Francia per cure termali, ma il regime nega il documento, sulla domanda di persona Mussolini scrive a penna “Niente Passaporto. M.”. Si reca quindi a Vicenza dove trova una certa comprensione e ospitalità nella famiglia degli industriali tessili Marzotto che tuttavia hanno aderito al fascismo e non possono spingersi oltre. De Gasperi, quindi, si trasferisce a Milano presso l’abitazione privata della signora Carpineda che è figlia di un ex deputato popolare, Arturo Baranzini. Movimenti che non sfuggono alla polizia politica fascista e che convincono il politico trentino a non mettere in difficoltà gli amici che lo ospitano. Si trasferisce ancora a Roma e cerca di cambiare identità. Con il nome di Paolo De Rossi tenta di trovare lavoro. A Roma è ospite dell’onorevole Ivo Coccia per poi trasferirsi dal cognato, Pietro Romani, che a Roma vive in un modesto appartamento. Infine, trova una camera in affitto a Roma in via Napoleone III, la camera appartiene a un modesto impiegato delle poste, Vincenzo Sciurba, che l’affitta per motivi economici. Braccato e controllato in ogni movimento, l’11 marzo del 1926 con la moglie e il cognato tenta un viaggio a Trieste. Il viaggio prevede un primo spostamento in automobile da Roma a Orvieto dove alle 16.30 prende il treno per Trieste. La mossa è subito segnalata dalla polizia politica che dirama, con un telegramma a firma diretta del capo della polizia Arturo Bocchini, l’ordine di fermare “Degasperi che sta tentando l’espatrio”. De Gasperi è arrestato alla stazione di Firenze alle ore 23.00 circa. Finisce a Regina Coeli a Roma, mentre la moglie al carcere delle Mantellate sempre nella capitale per undici giorni. A Roma è interrogato da due agenti di polizia il 20 marzo. Si tratta di Guido Leto e Giuseppe D’Andrea, che redigono un’informativa, indirizzata al capo della polizia, secondo la quale, a parte una cartina della città di Fiume, loro non trovano alcun motivo per trattenere l’arrestato. I documenti non sono chiari e non si può capire se De Gasperi sia stato rilasciato o se si sia trattata di una concessione operata da qualche funzionario del regime, quello che è certo è che dal giorno successivo, il 21 marzo, De Gasperi è rilasciato e trascorre alcuni giorni in Trentino per assistere il padre malato. Un mese dopo, il 27 aprile, il politico trentino è di nuovo arrestato e tradotto a Regina Coeli. L’accusa formale è di tentato espatrio clandestino. Non è giudicato e condannato da un tribunale speciale, come spesso si crede, ma è processato e condannato dalla magistratura ordinaria. In particolare, il 18 maggio del 1926 davanti alla tredicesima sezione ordinaria del Tribunale di Roma inizia il processo a carico di Alcide De Gasperi. L’accusa recita:” del delitto di cui all’art. 160 della legge di pubblica sicurezza, per avere, allontanandosi clandestinamente da Roma nell’11 marzo del volgente anno, senza essere munito di passaporto, e per motivo politico, tentato di espatriare”. Per la difesa De Gasperi chiede l’intervento dell’avvocato milanese Filippo Meda, che è stato anche un importante leader popolare, convocato anche da Vittorio Emanuele III per formare il governo dopo la marcia su Roma, prima dell’incarico a Mussolini, ed è vicinissimo a padre Gemelli che si sta avvicinato al fascismo. Nonostante la difesa dell’importante avvocato milanese, il tribunale con sentenza del 28 maggio 1927, dichiara De Gasperi colpevole, e lo condanna alla pena complessiva di anni 4 di reclusione e lire 20.000 di multa e al pagamento delle spese di giudizio. De Gasperi e il suo difensore interpongono appello e la Corte d’Appello di Roma presieduta dal magistrato Bartoli con una sentenza il cui relatore/estensore è un magistrato di cognome Granito confermano la condanna, tra le tante cose si legge nella sentenza d’appello:

“Non può dirsi, poi, che egli abbia agito in tal guisa, per evitare noie da parte di avversari politici, poiché egli avrebbe potuto invocare dall’autorità la necessaria tutela. Devesi invece ritenere che egli avesse voluto sottrarsi alla vigilanza della stessa Autorità, in seguito all’azione svolta come Segretario generale del partito popolare, che era stato sciolto perché ostile al Governo nazionale.”.

I pestaggi e le persecuzioni “dell’autorità” sono documentati anche dalla stampa che riporta con precisione i precedenti arresti illegittimi, come quello avvenuto a Vicenza, e altri soprusi, la persecuzione contro De Gasperi è un fatto notorio, ma la magistratura è appiattita sulla tesi accusatoria di chiara fattura politica. La Corte di Appello poi concede le attenuanti generiche con la seguente motivazione:

” In ordine al tentativo di espatrio clandestino, si ritiene giusto di accordare all’appellante, che è incensurato, il beneficio delle circostanze attenuanti generiche, e quindi, per la diminuzione di un sesto, ridurre la pena inflittagli per tale reato alla detenzione per anni due e mesi sei e alla multa di lire sedicimila seicentosessantasei. Confermandosi poi nel resto la impugnata sentenza, devesi condannare l’appellante alle maggiori spese del giudizio di Appello, e rinviare gli atti al primo giudice per l’esecuzione.”.

Nel 1950 quando il politico di Trento è ormai da anni Presidente del Consiglio e si reca a Roma al “palazzaccio” di piazza Cavour per l’inaugurazione dell’anno giudiziario come da prassi, alla fine della cerimonia, all’automobile lo accompagna il primo presidente della Corte di Cassazione che nel salutare, avendo colto tra le righe dell’intervento del premier un accenno alla sua personale vicenda giudiziaria, cerca di difendere l’operato della magistratura durante il fascismo affermando che in fondo non era stata la magistratura ordinaria a comminare pene severe agli antifascisti, ma i tribunali speciali che non erano composti da magistrati, a quel punto De Gasperi blocca il passo, si gira e gela l’interlocutore affermando “io sono stato mandato a Regina Coeli dalla XIII sezione del Tribunale ordinario di Roma, altro che tribunale speciale!”. De Gasperi ritarderà l’istituzione e il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura che, previsto dalla Costituzione come organo per l’indipendenza della magistratura, entrerà in funzione solo nel 1959. A qualche collaboratore che sollecita l’attuazione dell’organo di autogoverno della magistratura confessa che bisogna attendere che anche la magistratura si abitui alla nuova repubblica e alla democrazia, avvertendo che una autonomia spinta della magistratura comporterebbe problematiche legate alla autoreferenzialità con il rischio di un antagonismo tra magistratura e la politica.

riproduzione vietata, estratto dal libro "Speravamo di morire democristiani. Nascita, vita e morte della DC"


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