21 Dicembre 2024
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In memoria di Massimo D'Antona.

09-05-2024 19:20 - Storia
Il 9 maggio è la giornata dedicata alla memoria delle vittime del terrorismo. La data è stata scelta perché è anche quella in cui ricorre l’uccisione di Aldo Moro con il ritrovamento del cadavere nella R4 in via Michelangelo Caetani. Abbiamo dedicato alla drammatica vicenda di Aldo Moro ben due lavori, nel primo ( Il caso Moro, il dovere di raccontare) abbiamo affrontato nell’insieme la vicenda brigatista, dall’origine sino al 9 maggio 1978. Nel secondo (54 giorni ed una notte, le trattative segrete e pubbliche per salvare Aldo Moro) abbiamo descritto tutte le trattative, segrete e pubbliche, messe in piedi per salvare lo statista democristiano. In questa sede invece vogliamo ricordare la figura del Prof. Massimo D’Antona, docente ordinario di Diritto del Lavoro all’Università La Sapienza di Roma, vigliaccamente assassinato il 20 maggio 1999 a Roma in via Salaria mentre si recava, con i mezzi pubblici e borse in mano, al lavoro.

Sono stato allievo del Prof. Massimo D’Antona che è stato relatore della mia tesi di laurea nel novembre del 1996 presso la Seconda Università degli Studi di Napoli. Un gradissimo docente, di livello internazionale, nella disciplina giuslavoristica, studioso della flessibilità salariale, si sforzava, prima di essere ucciso, di trovare un limite minimo di inderogabilità del salario (oggi si parla tanto di salario minimo) nell’ambito della contrattazione collettiva nel tentativo di proporre ipotesi di sviluppo del mondo del lavoro dipendente idonee a combattere la disoccupazione giovanile. Si ipotizzava la praticabilità di un salario di ingresso ridotto rispetto alla contrattazione collettiva per favorire l’accesso giovanile al lavoro con il limite costituzionale del concetto di retribuzione sufficiente previsto dall’art.36 della Costituzione. Questo argomento mi fu assegnato dal Prof. D’Antona nella mia tesi di laurea che aveva per titolo “il salario d’ingresso e la retribuzione sufficiente”. Ricordo ancora quando quell’8 novembre del 1996, avevo da poco compiuto 23 anni, attendevo di discutere la tesi di laurea nell’aula oggi intitolata a Massimo D’Antona all’epoca a Vittorio Emanuele II per via di una ciclopica statua del re sabaudo che dominava l’aula. L’Ateneo era di nuova istituzione ed arrivava a compimento il primo ciclo di laureati che avevano studiato nella Seconda Università degli Studi di Napoli. L’attesa quel giorno fu lunga perché il Prof. D’Antona non arrivava e non per sua colpa, ma per un ritardo generale dei treni, aveva l’abitudine di viaggiare con i mezzi pubblici. L’intera commissione ed io, non essendoci altri studenti impegnati nella discussione della tesi, attendemmo un’oretta, alla fine il professore arrivò ed io mi laureai. Ricordo che alla fine della seduta, lo aspettavo per offrire un pranzo vista anche l’ora tarda, lui mi venne incontro e mi abbraccio e mi disse “Piccolo sei contento?” con il solito sorriso bonario. L’abbraccio non era tanto per il buon esito della mia seduta di laurea, quanto perché il Professore, poi mi confidò, era stato in grande ansia per via del ritardo del treno e gli sarebbe dispiaciuto moltissimo se la mia laurea avesse subito un rinvio per un motivo astrattamente a lui imputabile. Ricordo ancora il corso con delle lezioni brillantissime tenute dal Professore che aveva un suo stile anche a lezione. Non si sedeva dietro la cattedra, ma rimaneva in piedi davanti alla cattedra per tutta la lezione che aveva inizio esatti 15 minuti dopo l’orario previsto. Erano anni in cui l’Ateneo della Seconda Università doveva, nelle intenzioni dei promotori, principalmente i parlamentari del territorio della Democrazia Cristiana, servire da strumento di elaborazione di idee e proposte a sostegno dello sviluppo di Terra di Lavoro. Alla facoltà di Giurisprudenza arrivarono i migliori professori, in maggioranza provenienti dalla Federico II di Napoli, ma anche docenti giovani e motivati di altri atenei. Sedevo nel Consiglio di Facoltà in rappresentanza degli studenti per la componente moderata e cattolica. Non avevano le sedie per le lezioni ed all’inizio neppure le aule tanto che si ricorreva ad affittare una sala cinematografica, ma gli studenti non protestavano. Anzi collaboravano con i docenti e con il Preside della facoltà, il Prof. Gennaro Franciosi uno studioso di romanistica giuridica, animato da grande spirito d’iniziativa e dotato di capacità organizzative. In poco tempo la facoltà decollò con tantissimi iscritti, oltre un migliaio all’anno, e con struttura e strumenti nuovi. Purtroppo poi Terra di Lavoro ha cambiato classe dirigente ed oggi quell’Ateneo è profondamente cambiato, non esiste più neppure nel nome. D’Antona era uno di quei giovani docenti che aveva scelto di venire a vivere l’esperienza del nuovo ateneo di Terra di Lavoro, proveniva da Catania, ed intendeva avvicinarsi a Roma dove risiedeva ed aveva anche uno studio legale. Quando, ormai prossimo alla laurea, decisi di rivolgermi a lui per la mia tesi lo feci perché avevo apprezzato la notevole preparazione giuridica, ma anche le doti di umana sensibilità. Non era un barone universitario, non amava circondarsi di collaboratori, arrivava sempre con due pesanti borse professionali in mano. Andai al ricevimento e chiesi di poter ricevere una traccia per una tesi di laurea. Il Professore mi guardò, si fermò un attimo, quasi come per dirmi di no. “Piccolo sono stato trasferito a Roma alla Sapienza, andrò via a breve” - esordì rispondendomi - alla fine allargò il consueto sorriso e mi disse “con un po’ di impegno da parte tua, semmai anche raggiungendomi a Roma, posso seguirti”. Mi confidò che gli avrebbe fatto piacere lasciare una traccia del suo passaggio in Terra di Lavoro. Sono stato l’unico ed il solo a laurearmi con una tesi che avuto come relatore il Prof. Massimo D’Antona nella Seconda Università di Napoli, non so se ci siano stati altri studenti a Roma o a Catania. Oggi si conoscono i nomi degli assassini, tutti condannati che neppure meritano di essere nominati. Lo hanno ucciso in nome di un nuovo brigatismo rosso, anacronistico, ridicolo e fuori dalla storia, figlio solo di “cattivi maestri” ed in particolare di coloro che ancora negli anni 90 consentivano ai primi brigatisti il diritto di tribuna, li aiutavano a scrivere libri, o ancora a tenere convegni. Dopo la morte del Professore D’Antona ho stampato ed ingrandito una fotografia che mio padre scattò al Professore proprio il giorno della mia laurea, aveva tra le mani la mia tesi e rifletteva su cosa avrebbe dovuto dire mentre io venivo esaminato dagli altri membri della commissione. Quella foto, che è quella pubblicata in questo scritto, l’ho appesa dietro al muro della mia scrivania di quello che era il mio studio legale aperto da poco tempo. Il 20 maggio prossimo sono passati 25 anni dall’uccisione di Massimo D’Antona, grosso modo gli stessi anni che ha il mio studio legale. Sempre dietro la mia scrivania vi è stata l’immagine di D’Antona. In tanti mi hanno chiesto chi fosse dandomi l'occasione per il ricordo. Tantissime volte, poi, soprattutto quando ho cercato ispirazione o anche invocazione d’aiuto per perorare le cause dei miei clienti, ho alzato lo sguardo ed ho cercato la sua immagine: sempre ho avuto sollievo e mi è venuta l’idea vincente.

Riproduzione riservata - citare il sito www.avvocatosalvatorepiccolo.it o l'autore Salvatore Piccolo

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