il 26 ottobre ricorre l'anniversario dello storico incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanule. Immediatamente dopo Garibaldi si recò a Sparanise, ponendo fine all'impresa dei mille.
23-10-2021 09:19 - Storia
la copertina del libro di Salvatore Piccolo
Il 26 ottobre ricorre l'anniversario dello storico incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele che segnò la fine dell'epica avventura dell'impresa dei mille e, forse, determinò l'Unità d'Italia. Non tutti sanno che proprio immediatamente dopo l'incontro di Garibaldi con il re nei pressi di Teano, incontro avvenuto alle 9 della mattina, il generale declinò un invito a colazione insieme al re preferendo ritirarsi, a mangiare pane e cacio, sotto il portico di una chiesetta proprio a Sparanise dove passò la notte tra il 26 ed il 27 ottobre. La chiesetta era quella di San Vitaliano nei pressi della stazione di Sparanise, oggi non più esistente perchè distrutta da un bombardamento alleato nel settembre del 1943. Salvatore Piccolo lo scorso hanno ha pubblicato un libro all'episodio ricostruendo, alla luce delle fonti storiche precise e concordanti, i passaggi essenziali di quella vicenda. Il libro "Garibaldi a Sparanise - fine dell'impresa dei mille sotto il portico di una chiesetta" è in vendita su Amazon qui al prezzo di 8 euro. Di seguito riportiamo uno stralcio tratto dal libro, mentre in calce all'articolo è presente un link per leggere, direttamente da Amazon, un estratto del libro.
--dal libro "Garibaldi a Sparanise - fine dell'impresa dei mille sotto il portico di una chiesetta"---
-Sparanise, 27 ottobre. Ma allora, se così fosse come si susurra, ogni cosa sarebbe spiegata! Re Vittorio fu freddo nell'incontro con Garibaldi? Gli è che Francesco secondo è suo cugino, e che egli lo aveva invitato alla gran guerra contro i nemici d'Italia, ammonendolo. Anche si aggiunge che esista una lettera. Francesco non volle o non poté dargli ascolto. Fortuna d'Italia! Ostinato e impotente continuò la storia di suo padre, e ora paga per lui.
Dunque certo contegno di Vittorio Emanuele nell'incontrarsi col Dittatore sarebbe stato un delicato riserbo? O han ragione quelli che pensano che allora egli meditasse le strane sorti dei Re? Però noto che questi sono discorsi: passano come venticelli che non lascian nulla. Non si sente che la grandezza di Garibaldi, sinora! non si conosce che vi sia chi mira il sole nascente.
* * * Ieri il Dittatore non andò a colazione col Re. Disse di averla già fatta. Ma poi mangiò pane e cacio conversando nel portico d'una chiesetta, circondato dai suoi amici, mesto, raccolto, rassegnato. A che rassegnato? Ora si ripasserà il Volturno, si ritornerà nei nostri campi o chi sa dove; certo non saremo più alla testa, ci metteranno alla coda. Dicono che il Generale lo disse a Mario. E questa deve essere la spina del suo gran cuore che voleva un milione di fucili da dare all'Italia, e l'Italia non diede che ventimila volontari a lui. -
Questo il testo integrale scritta da Giuseppe Cesare Abba in una delle ultime pagine del libro “Da Quarto al Volturno: Noterelle di uno dei Mille” che attesta la circostanza dell’arrivo e della sosta di Garibaldi a Sparanise.
Il libro di Abba riscosse grande successo nel corso degli anni anche grazie alla fortuna che ebbe la spedizione dei mille. Una fortuna ed un successo unico non solo nella storia d’Italia, ma che non ha precedenti in nessuna umana vicenda militare. Come abbiano potuto circa mille uomini, la storiografia ufficiale ne conta 1043, partire su due piroscafi, attraversare il Tirreno, rifornirsi a Talamone, sbarcare in Sicilia e risalire la penisola senza essere sopraffatti ed annientati da un esercito regolare di almeno 50.000 effettivi, resta una avvincente mistero che ha ammantato di mito l’intera vicenda. Molti hanno scritto di trame organizzate grazie al, neppure tanto nascosto, impegno della massoneria che annoverava tra i propri adepti tutti gli esponenti del risorgimento Garibaldi ed il Re Vittorio Emanuele compreso. Altri hanno immaginato un possibile interessamento delle potenze straniere, soprattutto l’Inghilterra ormai ostile ai Borbone, affinchè la penisola italiana non fosse solo una espressione geografica, ma unita potesse rappresentare uno stato cuscinetto capace di equilibrare la situazione politica dell’Europa subito dopo il congresso di Vienna. Tutto è possibile e forse è verosimile insieme alle colpevoli scelte “neutraliste” del governo borbonico e compresa la codardia dei vertici dell’esercito borbonico che certamente si fecero trovare colpevolmente impreparati di fronte allo sbarco di Marsala ed alle successive battaglie soprattutto in territorio siciliano. Il re Francesco II si tenne molto lontano dalle varie battaglie, senza minimamente ipotizzare che una presenza del sovrano avrebbe quantomeno risollevato il morale delle truppe e forse lo stato maggiore dell’esercito avrebbe avuto maggiori remore nell’arrendersi, senza quasi combattere, al solo comparire, in lontananza, di qualche camicia rossa. Certamente quella impresa iniziata a Quarto e finita nelle nostre terre e forse proprio nella nostra chiesetta di Sparanise ha rappresentato e rappresenterà ancora per molto, agli occhi di chi osserva con semplicità, una vicenda, dai toni romanzati, bella ed avvincente. Dove il coraggio si fonde con la passione, il mito di Garibaldi e della sua militare invincibilità si confonde con le vicende di quella società meridionale ansiosa di ottenere una propria storia e di avere una propria dimensione, seppure le popolazioni del mezzogiorno rimarranno poi deluse ed abbandonate dal nuovo regno.
In questo contesto e ritornando al racconto principale non deve stupire che i testi dell’epoca assumano dei toni lirici e spesso epici che certamente possono trarre in inganno l’occhio dello storico.
La fonte principale del nostro racconto abbiamo visto essere il libro di Giuseppe Cesare Abba “da Quarto al Volturno: Notarelle di uno dei Mille”. Un testo molto fortunato in termini di copie stampate nel corso degli anni e che tuttavia ebbe una genesi molto travagliata. Un primo romanzo sulla vicenda pubblicato nel 1866 da Abba ebbe per titolo “Arrigo. Da Quarto al Volturno” . Si trattava di un vero e proprio romanzo, in cinque canti, «più per contentar gli amici che per lusinga di far leggere cose sue.”, che trattava la vicenda dei mille slegata dal racconto cronologico degli accadimenti, ma era incentrata sulla figura romanzata di Arrigo calato nell’epopea garibaldina e dei mille. Solo a distanza di venti anni, nel 1880 venne pubblicato un libro dal titolo “Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni”. In questo periodo Cesare Abba conobbe Giosuè Carducci e dal poeta venne convinto a pubblicare il libro nella sua stesura definitiva che vide la luce nell’anno 1891 ormai a distanza di 30 anni dalle gesta dei mille. Il fortunato scritto ebbe una genesi indotta e senza dubbio lo stesso Carducci vi ha messo mano soprattutto per gli aspetti lirici.
Il libro di Abba riscosse grande successo nel corso degli anni anche grazie alla fortuna che ebbe la spedizione dei mille. Una fortuna ed un successo unico non solo nella storia d’Italia, ma che non ha precedenti in nessuna umana vicenda militare. Come abbiano potuto circa mille uomini, la storiografia ufficiale ne conta 1043, partire su due piroscafi, attraversare il Tirreno, rifornirsi a Talamone, sbarcare in Sicilia e risalire la penisola senza essere sopraffatti ed annientati da un esercito regolare di almeno 50.000 effettivi, resta una avvincente mistero che ha ammantato di mito l’intera vicenda. Molti hanno scritto di trame organizzate grazie al, neppure tanto nascosto, impegno della massoneria che annoverava tra i propri adepti tutti gli esponenti del risorgimento Garibaldi ed il Re Vittorio Emanuele compreso. Altri hanno immaginato un possibile interessamento delle potenze straniere, soprattutto l’Inghilterra ormai ostile ai Borbone, affinchè la penisola italiana non fosse solo una espressione geografica, ma unita potesse rappresentare uno stato cuscinetto capace di equilibrare la situazione politica dell’Europa subito dopo il congresso di Vienna. Tutto è possibile e forse è verosimile insieme alle colpevoli scelte “neutraliste” del governo borbonico e compresa la codardia dei vertici dell’esercito borbonico che certamente si fecero trovare colpevolmente impreparati di fronte allo sbarco di Marsala ed alle successive battaglie soprattutto in territorio siciliano. Il re Francesco II si tenne molto lontano dalle varie battaglie, senza minimamente ipotizzare che una presenza del sovrano avrebbe quantomeno risollevato il morale delle truppe e forse lo stato maggiore dell’esercito avrebbe avuto maggiori remore nell’arrendersi, senza quasi combattere, al solo comparire, in lontananza, di qualche camicia rossa. Certamente quella impresa iniziata a Quarto e finita nelle nostre terre e forse proprio nella nostra chiesetta di Sparanise ha rappresentato e rappresenterà ancora per molto, agli occhi di chi osserva con semplicità, una vicenda, dai toni romanzati, bella ed avvincente. Dove il coraggio si fonde con la passione, il mito di Garibaldi e della sua militare invincibilità si confonde con le vicende di quella società meridionale ansiosa di ottenere una propria storia e di avere una propria dimensione, seppure le popolazioni del mezzogiorno rimarranno poi deluse ed abbandonate dal nuovo regno.
In questo contesto e ritornando al racconto principale non deve stupire che i testi dell’epoca assumano dei toni lirici e spesso epici che certamente possono trarre in inganno l’occhio dello storico.
La fonte principale del nostro racconto abbiamo visto essere il libro di Giuseppe Cesare Abba “da Quarto al Volturno: Notarelle di uno dei Mille”. Un testo molto fortunato in termini di copie stampate nel corso degli anni e che tuttavia ebbe una genesi molto travagliata. Un primo romanzo sulla vicenda pubblicato nel 1866 da Abba ebbe per titolo “Arrigo. Da Quarto al Volturno” . Si trattava di un vero e proprio romanzo, in cinque canti, «più per contentar gli amici che per lusinga di far leggere cose sue.”, che trattava la vicenda dei mille slegata dal racconto cronologico degli accadimenti, ma era incentrata sulla figura romanzata di Arrigo calato nell’epopea garibaldina e dei mille. Solo a distanza di venti anni, nel 1880 venne pubblicato un libro dal titolo “Noterelle d'uno dei Mille edite dopo vent'anni”. In questo periodo Cesare Abba conobbe Giosuè Carducci e dal poeta venne convinto a pubblicare il libro nella sua stesura definitiva che vide la luce nell’anno 1891 ormai a distanza di 30 anni dalle gesta dei mille. Il fortunato scritto ebbe una genesi indotta e senza dubbio lo stesso Carducci vi ha messo mano soprattutto per gli aspetti lirici.
Nel 1875, infatti, l’editore Zanichelli commissionò proprio al Carducci di scrivere la storia dell’impresa di Garibaldi, che come usava all’epoca, fosse precisa dal punto di vista storico, ma attenta alla forma letteraria. Il Carducci esitò, chiese ai commilitoni di Garibaldi di poter leggere le note che avevano appuntato e contattò anche Abba che aveva già pubblicato la prima edizione delle sue notarelle. Abba riprese tutto il materiale in suo possesso ed in particolare il taccuino in cui aveva annotato il diario dell’evento, e rielaborò le precedenti notarelle che inviò al Carducci. Dopo poco tempo ad Abba arrivò un messaggio dal Carducci: l’editore voleva pubblicare le notarelle e così avvenne. Un libro, dunque, frutto di attenta valutazione e rielaborazione da parte dell’autore, non privo di richiami poetici e di tecnica letteraria secondo gli stili dominanti dell’epoca, ma certamente attendibile dal punto di vista storico proprio per essere stato scritto e riscritto più volte dallo stesso autore. La tecnica finale adottata da Abba, senza dubbio frutto anche di precisa scelta e sotto consiglio di Carducci, è quella di un diario dell’impresa che inizia per ciascuna pagina con data e luogo. L’autore non riporta gli accadimenti quotidianamente, ma in ordine cronologico ne annota quelli più importanti.
All’epoca Carducci non era solo uno dei massimi letterati italiani, ma aveva assunto un ruolo di rilievo tanto nella cultura italiana che nella scena politica. Massone e fondatore egli stesso di una loggia massonica, aveva grande seguito in quella che era la società civile dell’epoca. Carducci era legatissimo all’editore Zanichelli ed anche per questo il libro di Cesare Abba ebbe da subito una grandissima cassa di risonanza.
Cosa scrive Abba nella stesura finale del suo testo che a noi interessa? Il racconto inizia il 26 ottobre (1860) e descrive, non senza rinunciare ad utilizzare precise figure letterarie, l’incontro tra il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi, un racconto così ben riuscito che lo stesso autore, come vedremo, avrà modo di compiacersi di quelle righe. Tutta la pagina del 26 ottobre, dove non è indicato il luogo a differenza delle altre pagine del diario, è dedicata all’incontro tra Vittorio Emanule e Garibaldi, dall’inizio alla fine dell’incontro stesso. Il giorno successivo, 27 ottobre, Abba appone di fianco alla data il luogo che indica in Sparanise e divide la notarella in due parti, la prima contente delle riflessioni dell’autore relative all’incontro verificatosi il giorno prima. La freddezza del re nell’incontro con il Generale e le motivazioni di tale freddezza, mentre la seconda parte che inizia con “Ieri” e racconta della mancata colazione del re con Garibaldi e dell’invece amaro boccone che, fuor di metafora, mangiò Garibaldi a Sparanise “conversando nel portico d'una chiesetta, circondato dai suoi amici, mesto, raccolto, rassegnato”.
All’epoca Carducci non era solo uno dei massimi letterati italiani, ma aveva assunto un ruolo di rilievo tanto nella cultura italiana che nella scena politica. Massone e fondatore egli stesso di una loggia massonica, aveva grande seguito in quella che era la società civile dell’epoca. Carducci era legatissimo all’editore Zanichelli ed anche per questo il libro di Cesare Abba ebbe da subito una grandissima cassa di risonanza.
Cosa scrive Abba nella stesura finale del suo testo che a noi interessa? Il racconto inizia il 26 ottobre (1860) e descrive, non senza rinunciare ad utilizzare precise figure letterarie, l’incontro tra il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi, un racconto così ben riuscito che lo stesso autore, come vedremo, avrà modo di compiacersi di quelle righe. Tutta la pagina del 26 ottobre, dove non è indicato il luogo a differenza delle altre pagine del diario, è dedicata all’incontro tra Vittorio Emanule e Garibaldi, dall’inizio alla fine dell’incontro stesso. Il giorno successivo, 27 ottobre, Abba appone di fianco alla data il luogo che indica in Sparanise e divide la notarella in due parti, la prima contente delle riflessioni dell’autore relative all’incontro verificatosi il giorno prima. La freddezza del re nell’incontro con il Generale e le motivazioni di tale freddezza, mentre la seconda parte che inizia con “Ieri” e racconta della mancata colazione del re con Garibaldi e dell’invece amaro boccone che, fuor di metafora, mangiò Garibaldi a Sparanise “conversando nel portico d'una chiesetta, circondato dai suoi amici, mesto, raccolto, rassegnato”.
riproduzione riservata citare l'autore ed il libro "Garibaldi a Sparanise" in vendita su Amazon al seguente link
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