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Draghi e la scuola neokeynesiana.

20-08-2022 13:15 - Diritto
Il governo Draghi ha sancito, dopo decenni, il ritorno ad una politica economica nazionale frutto di precise scelte secondo modelli elaborati da studiosi della materia. Abbiamo assistito negli ultimi due anni di governo a misure economiche non prese a caso, ma sulla base di convinzioni determinate e circostanziate. Mario Draghi appartiene ad una scuola di pensiero neokeynesiana. È stato allievo di un economista neokeynesiano, Federico Caffè, misteriosamente scomparso (ma questa è un’altra storia). La scuola keynesiana afferma che la spesa pubblica, realizzata a debito, genera un effetto moltiplicatore nell’economia, questo non significa che tale meccanismo valga sempre e comunque. Ci sono spese che hanno un limitato effetto moltiplicatore, ed altre dotate di un moltiplicatore decisamente maggiore. Solo queste ultime rappresentano, se fatte a debito, un debito buono. Ad esempio, è chiaro che il fare debito per poi sperperare i soldi, o dirottarli su impieghi meramente assistenziali, servirà ben poco allo sviluppo economico. Diverso l’impiego di spesa pubblica per investimenti. Ed ecco, quindi, il debito buono, quel debito cioè dotato della maggior capacità di far crescere l’economia tramite significativi coefficienti di moltiplicatore economico. E perfettamente in linea con questo pensiero è anche il PNRR.

Una mole di finanziamenti diretti ai diversi stati europei, che l’UE chiede siano infatti impiegati proprio per generare, in primis, una significativa crescita economica. Di qui l’altra concezione alla base del sistema del debito. Deve essere la crescita economica a copertura del debito e delle altre esigenze di spesa pubblica e non una nuova o aggiuntiva tassazione. L’intervento dello Stato nell’economia è poi pensato, da questa scuola di pensiero economico, come necessario soprattutto per calmierare le situazioni di scompenso create dal mercato. Il caso specifico si è verificato con l’impennata dei prezzi dell’energia, i carburanti ed il gas. La risposta del governo neokeynesiano è stata di tassare i profitti aggiuntivi, quelli realizzati pacificamente per via delle speculazioni sui prezzi, delle imprese petrolifere ed energetiche ed i proventi della tassazione destinarli ai consumatori maggiormente in difficoltà con l’aumento dei prezzi nel settore energia. E’ il famoso bonus di 200 euro e lo sconto alla pompa della benzina. Alla fine almeno nel settore petrolifero è successo che tutte queste misure insieme hanno portato ad una diminuzione dei pressi dei carburanti ormai avviatisi alla discesa anche oltre le misure di sgravio governative.

Non tutti ricordano che in Italia fu un particolare partito a puntare sulla scuola economica neokeynesiana. Quando la Democrazia Cristiana di De Gasperi vinse le elezioni nel 1948 lo statista trentino non aveva grandi competenze in materia economica. Proprio perché era davvero un grande politico De Gasperi si affidò ad un gruppo di giovani professori universitari le linee della politica economica. Tra questi spiccava il nome di Amintore Fanfani, che era professore di storia delle dottrine economiche, di Ezio Vanoni, più volte ministro delle finanze e del bilancio, di Pasquale Saraceno, professore e tecnico in ruoli strategici.

Tra l’estate del 1947 e l’estate del 1948 l’Italia si impegnò, con il fondo monetario internazionale (che aveva finanziato il paese nell’ambito degli accordi di De Gasperi con gli USA), nella formulazione di un piano a lungo termine, che fu redatto sulla base dei lavori effettuati dal Centro di studi e piani tecnicoeconomici dell’IRI, diretto da Pasquale Saraceno. La “filosofia” del piano risiedeva nel forzare gli investimenti, specie nel campo delle infrastrutture e dei beni capitale, per comprimere i costi ed aumentare le esportazioni, così da poter risollevare e riequilibrare in modo duraturo la bilancia dei pagamenti e fronteggiare la concorrenza durante il processo di liberalizzazione dei mercati internazionali che si sarebbe verificato.. Nei primi anni ’50 i risultati del piano potevano essere considerati per lo più positivi, in termini di reddito nazionale, produzione industriale e commercio estero. Gli economisti democristiani si accorsero che i consumi privati non rispettarono le previsioni, il che produsse maggiori importazioni e maggiore produzione di beni di consumo non alimentari, attenuando il progettato rigore del piano. I provvedimenti più significativi che i governi DC adottarono (arrivando al VI governo De Gasperi, che rimase in carica fino al 1953, sancendo la fine della prima legislatura) furono la legge Tupini per un maggior intervento finanziario dello Stato a sostegno delle opere pubbliche dei comuni, e il “piano Fanfani” per le case ai lavoratori, entrambi del 1949; il varo nello stesso anno della riforma agraria e la legge istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno; tra il 1951 e il 1953, il progetto La Malfa per la riorganizzazione delle partecipazioni economiche pubbliche, con l’annessa successiva istituzione di un Ministero ad hoc, e la creazione dell’Eni (Ente nazionale idrocarburi).

Tutte queste misure portarono al miracolo economico italiano. Un successo di politica economica che nessun analista internazionale aveva previsto e che ancora oggi è oggetto di studio.

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