Rese note le motivazioni della sentenza che ha riconosciuto il giornalista pignatarese Enzo Palmesano vittima di violenza privata aggravata dal metodo mafioso.
16-03-2015 20:24 - Diritto
Con una monumentale sentenza depositata il 26/02/2015 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere II sezione penale collegio C, composto dalla Dott.ssa Maria Francica ( Presidente) Dott.ssa Chiara Di Benedetto ( Giudice estensore) e Dott.ssa Elena Di Bartolomeo , ha reso noto le motivazioni della sentenza il cui dispositivo venne letto all´udienza del 28/02/2014.
Si tratta del procedimento penale nel quale il giornalista professionista Palmesano Vincenzo, costituitosi parte civile a ministero dell´Avv. Salvatore Piccolo, proprietario di questo sito web, veniva riconosciuto vittima del reato di violenza privata aggravata dal metodo mafioso ex art. 7 legge n. 203/91 perché costretto a non scrivere e pubblicare più articoli giornalistici riguardanti i clan locali.
La sentenza ben articolata e motivata -scaricabile nella sezione documenti di questo sito , si pensi che consta di 72 pagine frutto soprattutto dell´opera del Giudice relatore- l´apprezzato magistrato - Dott.ssa Chiara Di Benedetto, tocca alcuni aspetti giuridici oltre che di fatto di rilevante interesse.
In punto di fatto la sentenza ricostruisce l´esistenza del clan dei casalesi e del clan Lubrano- Ligato operante nel territorio caleno indicando con precisione i punti di contatto e di scontro tra i clan, aspetti che aiutano a comprendere le dinamiche criminali consumate nel territorio caleno negli ultimi lusti.
Il procedimento penale veniva istruito grazie all´acquisizione , avvenuta in dibattimento, di numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali ben integrate da prove dichiarative rappresentate, ad esempio , dall´escussione della Polizia Giudiziaria che aveva effettuato le intercettazioni e che ha potuto riconoscere le voci degli interlocutori ed indicare i nomi dei soggetti menzionati nelle intercettazioni. Precise anche le testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia.
Le difficoltà giuridiche sottese alla specifica fattispecie delittuosa individuata dal P.M. vale a dire la violenza privata in realtà si sono rivelate una felice scelta del magistrato inquirente, nel caso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli con l´impegno dei magistrati Dott.ssa Liana Esposito e Giovanni Conzo , poiché frequentemente nella prassi giudiziale accade che l´ufficio di Procura procede con contestazioni più gravi come ad esempio il reato di estorsione che, tuttavia, risulta poi difficile dimostrare in dibattimento in considerazione del diverso contenuto giuridico delle due norme.
La violenza privata contiene aspetti e condotte meno marcate e meno incisive rispetto a quelle necessarie per individuare il reato di estorsione , oltre naturalmente a prevedere una disciplina sotto il profilo dei requisiti completamente diversa. La felice scelta del capo di imputazione individuando dall´inizio l´ipotesi delittuosa minimale ha certamente contribuito al buon esito del processo appunto per la diversità di requisiti necessari ad individuare i due distinti reati.
Altro aspetto giuridico di rilievo e da apprezzare nella sentenza in commento è dato dal riconoscimento dell´aggravante ex art. 7 legge n. 203/91.
Come è noto tale aggravante contempla due profili il primo riguarda il cd metodo mafioso che si verifica allorquando la consumazione del reato aggravato avviene attraverso i metodi specifici delle organizzazioni criminali organizzate, mentre il secondo aspetto riguarda la circostanza che il reato consumato favorisca le organizzazioni criminali
.
Si tratta di due distinti profili, il metodo mafioso ed il favore al clan, che nel caso di specie la sentenza ha riscontrato ricorrere in entrambi i profili perché l´imputato sapeva che , con la sua condotta , favoriva il clan caleno e altresì il medesimo imputato sapeva che la sola spendita del nome del capo clan conferiva alla richiesta di non far scrivere e pubblicare articoli al giornalista pignatarese una spiccata capacità di coercizione tipica della forza di individuazione del clan.
Sotto tale profilo la sentenza rappresenta un importante precedente giurisprudenziale perché nel riconoscere l´aggravante ex art. 7 individua nella medesima condotta posta in essere dall´imputato entrambi i profili contemplati dall´aggravante in questione.
Tale possibilità di cumulo viene individuata nella sentenza proprio poiché la fattispecie di cui all´aggravante viene ricondotta non a due fattispecie autonome , ma ad un´unica fattispecie con due possibili profili.
Da tale principio discende che i due profili possono essere alternativi o anche , come nel caso di specie, cumulabili.
Non può sottacersi , soprattutto in Campania, ma non si rinvengono precedenti neppure a livello nazionale , che l´aver individuato e sanzionato penalmente un soggetto che è riuscito ad estromettere un giornalista professionista dal giornale per cui collaborava perché scriveva articoli riguardanti un clan camorristico- mafioso rinvenendo in tale condotta gli estremi del reato di violenza privata aggravata ex art. 7 rappresenta una novità assoluta del panorama giurisprudenziale ed è un significativo esempio di concreta lotta ai clan mafiosi.
Si tratta del procedimento penale nel quale il giornalista professionista Palmesano Vincenzo, costituitosi parte civile a ministero dell´Avv. Salvatore Piccolo, proprietario di questo sito web, veniva riconosciuto vittima del reato di violenza privata aggravata dal metodo mafioso ex art. 7 legge n. 203/91 perché costretto a non scrivere e pubblicare più articoli giornalistici riguardanti i clan locali.
La sentenza ben articolata e motivata -scaricabile nella sezione documenti di questo sito , si pensi che consta di 72 pagine frutto soprattutto dell´opera del Giudice relatore- l´apprezzato magistrato - Dott.ssa Chiara Di Benedetto, tocca alcuni aspetti giuridici oltre che di fatto di rilevante interesse.
In punto di fatto la sentenza ricostruisce l´esistenza del clan dei casalesi e del clan Lubrano- Ligato operante nel territorio caleno indicando con precisione i punti di contatto e di scontro tra i clan, aspetti che aiutano a comprendere le dinamiche criminali consumate nel territorio caleno negli ultimi lusti.
Il procedimento penale veniva istruito grazie all´acquisizione , avvenuta in dibattimento, di numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali ben integrate da prove dichiarative rappresentate, ad esempio , dall´escussione della Polizia Giudiziaria che aveva effettuato le intercettazioni e che ha potuto riconoscere le voci degli interlocutori ed indicare i nomi dei soggetti menzionati nelle intercettazioni. Precise anche le testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia.
Le difficoltà giuridiche sottese alla specifica fattispecie delittuosa individuata dal P.M. vale a dire la violenza privata in realtà si sono rivelate una felice scelta del magistrato inquirente, nel caso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli con l´impegno dei magistrati Dott.ssa Liana Esposito e Giovanni Conzo , poiché frequentemente nella prassi giudiziale accade che l´ufficio di Procura procede con contestazioni più gravi come ad esempio il reato di estorsione che, tuttavia, risulta poi difficile dimostrare in dibattimento in considerazione del diverso contenuto giuridico delle due norme.
La violenza privata contiene aspetti e condotte meno marcate e meno incisive rispetto a quelle necessarie per individuare il reato di estorsione , oltre naturalmente a prevedere una disciplina sotto il profilo dei requisiti completamente diversa. La felice scelta del capo di imputazione individuando dall´inizio l´ipotesi delittuosa minimale ha certamente contribuito al buon esito del processo appunto per la diversità di requisiti necessari ad individuare i due distinti reati.
Altro aspetto giuridico di rilievo e da apprezzare nella sentenza in commento è dato dal riconoscimento dell´aggravante ex art. 7 legge n. 203/91.
Come è noto tale aggravante contempla due profili il primo riguarda il cd metodo mafioso che si verifica allorquando la consumazione del reato aggravato avviene attraverso i metodi specifici delle organizzazioni criminali organizzate, mentre il secondo aspetto riguarda la circostanza che il reato consumato favorisca le organizzazioni criminali
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Si tratta di due distinti profili, il metodo mafioso ed il favore al clan, che nel caso di specie la sentenza ha riscontrato ricorrere in entrambi i profili perché l´imputato sapeva che , con la sua condotta , favoriva il clan caleno e altresì il medesimo imputato sapeva che la sola spendita del nome del capo clan conferiva alla richiesta di non far scrivere e pubblicare articoli al giornalista pignatarese una spiccata capacità di coercizione tipica della forza di individuazione del clan.
Sotto tale profilo la sentenza rappresenta un importante precedente giurisprudenziale perché nel riconoscere l´aggravante ex art. 7 individua nella medesima condotta posta in essere dall´imputato entrambi i profili contemplati dall´aggravante in questione.
Tale possibilità di cumulo viene individuata nella sentenza proprio poiché la fattispecie di cui all´aggravante viene ricondotta non a due fattispecie autonome , ma ad un´unica fattispecie con due possibili profili.
Da tale principio discende che i due profili possono essere alternativi o anche , come nel caso di specie, cumulabili.
Non può sottacersi , soprattutto in Campania, ma non si rinvengono precedenti neppure a livello nazionale , che l´aver individuato e sanzionato penalmente un soggetto che è riuscito ad estromettere un giornalista professionista dal giornale per cui collaborava perché scriveva articoli riguardanti un clan camorristico- mafioso rinvenendo in tale condotta gli estremi del reato di violenza privata aggravata ex art. 7 rappresenta una novità assoluta del panorama giurisprudenziale ed è un significativo esempio di concreta lotta ai clan mafiosi.