Omicidio di camorra, il dna non risolve i dubbi sull'identità della vittima
07-11-2019 21:15 - Diritto
Salvatore Belforte, boss di Marcianise
Santa Maria Capua Vetere (Attilio Nettuno) L'identità della vittima non sarebbe certa. E' quanto hanno messo nero su bianco i Ris di Roma nella loro relazione sul riconoscimento di Orlando Carbone, ucciso nel 1986 dal clan Belforte. Per il delitto è a processo Salvatore Belforte, capoclan dei Mazzacane.
Un vero e proprio colpo di scena al processo che si sta celebrando con rito abbreviato dinanzi al gup Ivana Salvatore del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. In pratica la comparazione del dna di alcuni frammenti del corpo di Carbone con quello di alcuni parenti ha dato esito negativo. Per questo motivo i Ris hanno proceduto ad estrarre il dna mitocondriale riscontrando "una generica compatibilità" con quello della madre. Argomentazioni che saranno tra quelle oggetto della discussione della difesa di Belforte, rappresentata dall'avvocato Salvatore Piccolo. Il processo riprenderà a fine mese.
Il delitto di Carbone avvenne nel 1986, pochi giorni dopo la strage di San Martino. Era l'11 novembre quando i sicari del clan dei Mazzacane, guidati dal boss Paolo Cutillo, noto nella malavita napoletana come la Belva, si appostarono in un casolare di via San Martino a Marcianise per uccidere il boss Antimo Piccolo, del clan dei Quaqquarone, rivale proprio dei Belforte. Un colpo messo a segno nella "roccaforte dei Quaqquarone", che lì nel loro covo, al civico 24, si erano riuniti. Il bilancio fu di 4 morti e due feriti, tra cui un passante.
La strage si verificò alle 10,30 di mattina. Il commando, di cui faceva parte oltre al boss Cutillo anche Domenico Belforte, si allontanò a piedi. Vennero recuperati da due auto, una delle quali guidata da Carbone. Su una viaggiava il gruppo dei killer dei Mazzacane e sull'altra c'era Carbone. All'altezza di Lago Patria le auto vennero intercettate da un'auto civetta della polizia. I killer esplosero alcuni colpi di pistola, ci fu un inseguimento che si concluse con un conflitto a fuoco nel quale morì Cutillo la Belva mentre Domenico Belforte venne gravemente ferito (sarà arrestato una volta dimesso dall'ospedale).
Salvatore Belforte, quindi, pensò che quel Carbone, appena ventenne originario di Roma ma residente a Marcianise, fosse un informatore della polizia, o peggio un poliziotto infiltrato. Per questo andava eliminato. Fu lo stesso Belforte, nel periodo in cui aveva iniziato un percorso di collaborazione con la giustizia, a far rinvenire il corpo nella zona di Trentola Ducenta
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