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Il funerale di Berlusconi e della seconda repubblica.

14-06-2023 23:44 - Cronaca
Forse oggi è stato celebrato il funerale della seconda repubblica. Un funzione funebre che, non è un caso, è stata officiata a Milano nel duomo che è simbolo della cittadina lombarda. Un rito ambrosiano che è rigoroso e si applica, senza eccezioni, in chiesa. Così a nessuno, se non al vescovo, è stata data la possibilità di pronunciare orazioni, celebrazioni, in memoria dello scomparso Silvio Berlusconi. Un vescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, che non è un cardinale di Santa Romana Chiesa, circostanza singolare per la diocesi di Sant’Ambrogio che anche in anni recenti ha sempre visto componenti del collegio cardinalizio chiamati a reggere la cattedra dell’arcidiocesi di Milano un vescovo, tra gli ultimi si ricorda Giovan Battista Montini poi divenuto papa con il nome di Paolo VI. Per l’occasione il governo italiano ha decretato il lutto nazionale e da Roma è arrivato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oltre al tutto il governo in carica. Non sono arrivati capi di Stato esteri o anche leader politici, anche non più in carica, di peso dai principali paesi stranieri. Per questo, in prima fila, a fianco a Mattarella è stato fatto accomodare l’emiro del Qatar, che in Europa è accusato di aver comprato diversi parlamentari europei in cambio di decisioni politiche in favore del piccolo paese arabo, non certamente un paese moderno per regole ed istituzioni democratiche.

Berlusconi ha impegnato la scena politica negli ultimi 30 anni con importanti successi elettorali, ma quella rivoluzione liberale, promessa a più riprese, non è mai arrivata. Un paese che aspetta ancora di essere ammodernato nelle proprie istituzioni, nell’equilibrio tra i poteri dello Stato, negli aspetti legati all’imposizione fiscale. Berlusconi probabilmente era animato da grandi idee ed una incrollabile fiducia in se stesso, ma non ha inciso, come era necessario, nel mondo della politica come invece è riuscito a fare nel mondo dell’imprenditoria e dello sport. Amministrare una squadra di calcio, seppure di Serie A, e guidare un’azienda di livello europeo non è la stessa cosa che guidare un paese. Spesso lamentava che il “teatrino” della politica gli impediva di realizzare i suoi programmi o che la magistratura interveniva con una persecuzione giudiziaria tale da non renderlo capace di concretizzare i programmi elettorali. In realtà le istituzioni e l’intero sistema di equilibro dei poteri dello Stato, compreso il peso del potere giudiziario rispetto a quello legislativo, sono state frutto di un compromesso tra le forze politiche, impegnate a combattere il fascismo, e trasfuse nella Costituzione italiana. Un capolavoro giuridico, certamente. Una struttura istituzionale, tuttavia, complicata ed articolata che quando è entrata in vigore nel 1948 costrinse il partito che aveva il compito di attuarla, la Democrazia Cristiana, dotato della maggioranza assoluta dei parlamentari per aver ottenuto un forte consenso elettorale, ad attuare le principali novità portate dalla Costituzione gradualmente. De Gasperi, che pure era un padre della patria, avvertiva la sensazione che il sistema delle autonomie, il regionalismo, il sistema della Giustizia Amministrativa, gli strumenti della democrazia partecipativa come il referendum, delineati nella massima carta non potevano entrare in vigore subito, perché il paese era stato abituato al centralismo fascista che era in linea con la centralità dello stato liberale del periodo Giolittiano. La scossa della resistenza non poteva, da sola, legittimare un così forte ed improvviso cambiamento nel modo di concepire lo Stato da parte degli italiani, anche per via del fatto che nel 1948 esisteva un forte analfabetismo che da solo obbligava a predicare prudenza rispetto al discorso delle autonomie politiche territoriali ed all’istituto del referendum. De Gasperi e la Democrazia Cristiana pensavano che fosse necessario prima insegnare agli italiani a leggere ed a scrivere poi liberarli dai bisogni economici anche attraverso la ricostruzione infrastrutturale del paese azzerata dalle macerie della guerra e solo successivamente dargli la possibilità di contestare, per via giudiziaria, un atto amministrativo piuttosto che consentire al popolo di proporre l’abolizione di una legge. Solo negli anni 70, quando la Democrazia Cristiana avvertì il peso della stanchezza politica dovuto a 30 anni di ininterrotto esercizio del potere, anche a causa del blocco internazionale all’alternanza politica di governo, si decise di attuare gli istituti previsti dalla Costituzione e rimasti, per decenni, nel cassetto ad aspettare la conseguita maturità della giovane Repubblica Italiana. I democristiani di seconda generazione, Fanfani, Moro, Andreotti pensarono che l’attuazione di questi istituti costituzionali potesse dare nuova linfa alla vita politica italiana. Gli anni successivi sino al 1992 sono stati vissuti proprio sperando che la realizzazione delle Regioni, l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali, l’entrata in vigore della possibilità di richiedere il referendum popolare con l’immediata attivazione dell’istituto su temi divisivi come divorzio, aborto, giustizia, fosse in grado di rappresentare la novità istituzionale in grado di consentire la prosecuzione di un assetto costituzionale che si fondava sui partiti democratici. Formalmente delle associazioni non riconosciute nella struttura giuridica simile ai sindacati, ma indicati specificamente nella massima carta come necessariamente dotati di un ordinamento interno democratico per modo che le massime cariche dei partiti così come quelle dei sindacati fossero contendibili da uno qualunque degli iscritti. Il sistema era in realtà logoro e forse la completa attuazione della costituzione giunse tardiva quando ormai si erano sviluppate forme di contestazione violenta e terroristica orchestrate anche da oscuri disegni spionistici tipici della contrapposizione tra Nato e patto di Varsavia. La fine della guerra fredda con la vittoria del blocco occidentale arrivò quasi in maniera imprevista e vide la vittoria dell’occidente in danno del raggruppamento comunista, Il bisogno di mettere nuovamente in discussione il compromesso istituzionale raggiunto nell’assemblea costituente aumentava, ma veniva superato nell’impegno politico dagli avvenimenti. Le vicende giudiziarie di tangentopoli, pure originate da quella Milano che ha dato i natali a Berlusconi e che oggi ha celebrato il suo funerale, hanno invece eliminato i partiti politici figli della carta costituzionale con un colpo di spugna tanto rapido quanto inaspettato, seguendo di poco tempo la caduta del muro di Berlino, simbolo della guerra fredda. Il vuoto creato dalle inchieste giudiziarie, sulle quali ancora non è calato il definitivo giudizio storico in termini di ispirazione e connessioni anche internazionali, ha creato lo spazio necessario, magari involontariamente, ad un nuovo modo di fare politica ben incarnato da Silvio Berlusconi. Non partiti democratici, con riti congressuali forse incomprensibili alla maggioranza degli italiani, ma un solo leader carismatico che, da solo e per ciò stesso, è egli stesso un esempio, un modello, in ultima analisi un partito. L’uso magistrale delle televisioni, per la metà dello stesso Berlusconi e per la restante metà dello Stato, insieme ad un nuovo modo di porsi rispetto agli elettori, con linguaggio semplice e chiaro, hanno consentito l’affermazione politica del modello Berlusconi costringendo anche gli avversari ad imitarlo. Occorreva a quel punto mettere mano alle riforme istituzionali e bisognava farlo in un’ottica di costruzione comune e condivisa di nuove regole, nuovi equilibri tra i poteri dello Stato. Necessarie erano, e lo sono tutt’ora, riforme organiche e larghe del sistema fiscale e della giustizia con diversi equilibri legati ai sistemi di controllo ed all’esercizio dei diversi poteri dello stato, ai rapporti tra di loro. L’autonomia della magistratura non può essere intesa, come pure è accaduto, nell’assoluta mancanza di controlli non tanto relativi all’operato di un singolo o più magistrati, che sia chiaro possono sbagliare per la fallibilità della condizione umana ed i cui errori trovano correzione nel sistema processuale costituito da tre gradi di giudizio, ma verso l’inefficienza dei Tribunali sia in sede penale che civile, con processi e procedimenti che durano decenni e sono sempre più funzionali a gruppi o persone di potere che hanno risorse economiche o strumenti di relazione personale per poter affrontare, attore o convenuto in giudizio civile piuttosto che imputato o parte civile in un processo penale, il complesso sistema giudiziario italiano che nei riti e nelle norme è patrimonio di una importante tradizione giuridica nazionale, ma non è alla portata di tutti soprattutto non è nella disponibilità dei deboli siano essi tali per condizione economica o per qualunque altra causa. In un paese moderno e democratico deve esistere un sistema di controllo che possa consentire di verificare se in uno o più Tribunali siano state accumulate inefficienze anche per la sola mancanza di mezzi oltre che per scarsa applicazione di singoli senza che questo debba essere vissuto come un attacco alla magistratura. La vera questione è che Berlusconi non si è accorto della necessità di simili riforme istituzionali, o almeno non ha compreso che dovevano essere di portata così importante da interessare l’intero assetto costituzionale e per fare questo bisognava evitare un clima di scontro politico, eccitato anche dal bipolarismo che porta alla demonizzazione dell’avversario, e favorire la ricerca di una base di consenso politico ampio e di diversa provenienza politica così da garantire l’apporto delle diverse posizioni politiche sopravvissute alla fine dei partiti tradizionali. Le guerre con la magistratura, solo per il contestato accanimento giudiziario, e non per l’evidente eccesso di potere accumulato dal potere giudiziario nei confronti di quello legislativo hanno fatto in modo che tali riforme non fossero possibili perché inficiate dal sospetto del conflitto di interessi, già rilevante sotto il profilo della proprietà di metà dei canali televisivi disponibili e per l’immenso patrimonio economico, poi divenuto personale e giudiziario quando sono state approvate leggi, di scarso peso riformatore, che potevano arrecare benefici alle specifiche vicende giudiziarie di Berlusconi piuttosto che alla tassazione delle ricchezze dei patrimoni più rilevanti. A dimostrazione che la questione è stata vissuta guardando verso il basso piuttosto che ad ampio respiro basta ricordare che il primo Berlusconi aveva soffiato sul fuoco di tangentopoli decantando, con le proprie televisioni, i magistrati del pool di mani pulite arrivando ad offrire posti di ministro ai relativi esponenti. Oggi quella stessa Milano che ha favorito, con tangentopoli ed il pool di Mani Pulite, la fine dei partiti politici tradizionali e l’ascesa politica di Berlusconi, ma che lo ha anche condannato a 4 anni di carcere, per fortuna non scontati in prigione per un provvidenziale indulto approvato tempo prima, ha celebrato il funerale terreno di Silvio Berlusconi che assomiglia al funerale della seconda repubblica, non una nuova repubblica con regole ed assetti nuovi, ma la continuazione di quella precedente in un contesto internazionale, economico e tecnologico diverso. Negli ultimi 30 anni, infatti, ha fatto il proprio corso una rivoluzione culturale rilevantissima che ha portato cambiamenti universali. La rivoluzione è quella informatica che in poco tempo ha comportato la digitalizzazione di massa con conseguente inevitabile interconnessione globale. Una globalizzazione uniformata non già da una lingua comune, ma da un linguaggio comune che è quello informatico uguale nei software, negli algoritmi informatici, nei social network in tutto il mondo. . Non è un caso che è stato un funerale trasmesso in televisione, sostanzialmente a reti unificate, secondo schemi e protocolli tradizionali ed “analogici” e non certo “digitali”. Per questo, ed è l’auspicio principale, celebrato il funerale della seconda repubblica forse da domani è possibile finalmente pensare a regolare il futuro dell’Italia, che è all’insegna della digitalizzazione, dotando il paese delle necessarie riforme organiche di cui ha bisogno anche mettendo mano ad una vera e propria riforma costituzionale, con il sacrosanto principio della immutabilità degli articoli fondamentali declamati all’inizio dalla nostra principale legge e l’obbligo di bilanciare diversamente i poteri dello stato avendo modo di riscrivere anche il rapporto tra cittadini e l’imposizione fiscale.

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